Repubblica, ragion di Stato, democrazia cristiana

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In occasione della pubblicazione del volume di Gianfranco Borrelli per i tipi di Cronopio che estende le ricerche avviate in Genealogie 1 (Machiavelli, Ragion di Stato, Polizia Cristiana), pubblichiamo il testo dell’introduzione/premessa al volume. Buona lettura!


Tesi principale e criteri dell’esposizione genealogica

1. Questo lavoro prosegue il percorso di ricerca avviato nel libro Machiavelli, ragion di Stato, polizia cristiana, Genealogie 1 (2017). La tesi svolta in quel primo volume si può riassumere in questo modo: dal periodo che segna la fine della stagione rinascimentale, prende corpo in Italia l’ultimo originale laboratorio politico italiano, comunemente e senza interruzioni nominato ragion di Stato: un insieme di linguaggi e di tecniche di governo rivolto essenzialmente a conservare un patrimonio economico, finanziario ed artistico costruito in un’epoca straordinaria. Si tratta della prima forma moderna di razionalizzazione politica che precede la giustificazione di teorie/pratiche di sovranità nei termini del giusnaturalismo e del contrattualismo; il principe che detiene il potere provvede a costruire stabilità dell’ordine civile e sicurezza per le popolazioni elaborando una strumentazione tecnico-sperimentale e dispositivi di natura simbolica.

Nella serie di avvenimenti che prendono corpo lungo tutto il Cinquecento, viene via via appannandosi la memoria dell’esperienza delle libertà comunali, segnata pure dal fallimento dell’ultimo progetto repubblicano magistralmente argomentato da Machiavelli. In seguito, la vivida inventiva degli italiani provvede a rendere stabili nuove strategie di ripiego e di difesa indotte dalla perdita della libertà e da sofferenze inenarrabili: dagli adattamenti comportamentali della civil conversazione si passa all’esercizio produttivo e dinamico dei codici prudenziali della ragion di Stato. Nella stessa epoca, l’autorità papale riorganizza il corpo della Chiesa cattolica martoriato dalle lacerazioni indotte dall’espansione delle comunità protestanti: da un lato, viene rafforzata l’amministrazione civile dei territori italiani appartenenti allo Stato del Vaticano, mentre pure si procede a ristrutturare il sistema reticolare delle istituzioni ecclesiastiche in tante regioni del mondo. In breve, Machiavelli, ragion di Stato, polizia cristiana costituiscono gli elementi di una matrice che mette capo ai processi della riconfigurazione complessiva dei poteri in Italia, in forme che sfoceranno via via nella costituzione dell’unità politica della penisola.

2. Ragion di stato è il complesso dispositivo politico che cerca di costruire la via d’uscita alla crisi straordinaria vissuta in Italia dai primi decenni del Cinquecento. Innanzitutto, intende rispondere alla necessità della salvaguardia degli ordinamenti civili, scossi dalla perdita dell’autonomia politica e dal crollo della posizione centrale che le regioni italiane occupavano nel contesto dei traffici economici in Europa. Bisognava dunque offrire un rimedio positivo alla serie vorticosa dei conflitti civili e militari indotti all’interno e nelle relazioni dei governi regionali della penisola dalle guerre d’Italia, dai tentativi di conquista posti in essere da Francia e Spagna.

Ragion di Stato non è riduttivamente l’imperativo assoluto in nome del quale si può e si deve stravolgere ogni genere di norma al fine dell’interesse dello Stato. Si tratta piuttosto di una nuova arte razionale del governo, quindi esercizio della ragione come mezzo di conoscenza e volontà di orientamento nelle cose che riguardano in modo esclusivo lo stato inteso come dominio su di un ambito territoriale, che include anche la giurisdizione sulle condizioni di vita degli individui e dei corpi. L’obiettivo principale della conservazione politica viene reso operativo grazie alla convergenza di processi che riportano sul piano dell’ars practica della politica gli effetti dolorosi del tracollo della prassi civile rinascimentale e della depressione malinconica dei vissuti individuali. Questo genere di governo intende produrre obbedienza attiva da parte dei popoli, privilegia le pratiche più che gli ordinamenti giuridici, utilizza codici diffusi di segretezza e di simulazioni, utilizza la violenza, ma solo in condizioni estreme. Omettendo con consapevolezza di giustificare il fondamento divino del potere dei prìncipi, questa nuova forma di governo intende farsi carico della conservazione fisica dei corpi e del governo dei comportamenti, a volte pure in contrapposizione alla cura pastorale finalizzata alla salvezza spirituale dei credenti. Il progetto di partenza viene articolato, discusso e sottoposto a sperimentazione lungo un periodo che dura ininterrottamente all’incirca cinquanta anni: dalla sistemazione boteriana delle definizioni di partenza con la pubblicazione del volume Della ragion di Stato nel 1589 fino all’opera egualmente sistematica e – potremmo dire – descrittiva dei risultati della ricerca di Scipione Chiaramonti (Della ragion di Stato, Firenze, 1635). Pensatori e scrittori di differenti e variegate estrazioni – letterati, medici, ecclesiastici, politici, avventurieri e così via – fanno di quel progetto un evento particolarissimo nei processi della formazione e dell’impegno degli intellettuali nella storia civile italiana. Ci troviamo di fronte ad una discussione pubblica tra studiosi impegnati a definire un programma di ricerca su un oggetto teorico di assoluta novità, intenti ad inventarsi codificazioni e registri degli interventi di governo in una situazione territoriale frammentata, che pone difficoltà di comunicazione e di pubblicazione dei materiali della ricerca. Questi intellettuali sostengono e diffondono il nuovo decisivo punto di vista secondo il quale non esiste più l’arte personale del comando affidato al solo principe, poiché lo Stato si pratica: una pratica attiva, concertata e promossa dalla stessa serie delle riflessioni messe in circolo. Vale a dire che questi autori propongono un modello d’intervento politico conservativo, lo fanno procedere nelle pratiche riflessive di governanti, di consiglieri, di sudditi. Fino al punto di conseguire un effetto pubblico di verità: produrre la convinzione che lo Stato esiste, e che esso agisce come forma razionale dell’esercizio di governo, punto di partenza e di arrivo delle pratiche conflittuali di governanti/governati. Siamo in presenza di un piano di lavoro che è stato giustamente definito sperimentale, alla stessa maniera dei criteri e delle procedure del metodo galileiano; in effetti, viene messa in campo una riflessione di tipo comparativo, che mette a confronto teorie e codici applicativi di esperienze realizzate in contesti regionali diversi, con l’intendimento di migliorare l’efficacia operativa del programma politico originario. Gli scrittori di ragion di Stato operano quindi nel senso di offrire l’accumulazione di saperi di ogni tipo finalizzati ad una forma di governo che è tutta da inventare e da praticare; infine, approdano alla conversione dell’arte dello stato (di machiavelliana memoria), considerata ormai inutilizzabile nel nuovo contesto storico degli stati regionali italiani, nella nuovissima scienza del governo degli uomini, destinata a difendere l’Italia dai pericolosi appetiti di tante potenze europee. Queste scritture insistono quindi sulla regolamentazione disciplinare delle condotte e sulla formazione di un’opinione pubblica, che risulta ovviamente tutta calata dall’alto, rivolta comunque a modificare le coscienze delle persone ed i loro comportamenti. Da parte del principe viene messa in atto una produzione di saperi governamentali che ha come fine la produzione di un efficace rapporto di comando/obbedienza tra sovrano e popolo; si cerca quindi di convertire il popolo in popolazione in quanto oggetto da curare e da energizzare per l’incremento della potenza dello Stato.

3. Il paradigma prudenziale di ragion di Stato è prima forma moderna di razionalizzazione politica. Esso persegue la principale finalità della conservazione di una situazione data dei poteri; è dispositivo di mediazione tra le parti in conflitto nelle relazioni interne ad uno stato, anche attivo nel promuovere – sul piano delle relazioni internazionali – una fitta rete di comunicazione che utilizza codici diplomatici e strategie militari. Ragion di Stato neutralizza l’elemento morale (anche della morale religiosa cattolica) e mette in opera adattamenti prudenziali d’intervento politico per contesti differenziati di luoghi, tempi e modalità di azione. In tale quadro si fa anche ordinariamente ricorso alla forza quando non si rendano possibili altre modalità di differire o neutralizzare antagonismi irrimediabili: tuttavia, l’esercizio della violenza, che deve essere sempre pronta e spettacolarmente esibita, risulta l’estremo rimedio per risolvere obiettivi considerati necessari alla conservazione politica.

Ragion di Stato attiva capacità particolari di riconoscere i conflitti in campo e di riconvertirli a proprio vantaggio (ed esiste qui una complessa relazione con il progetto di Machiavelli: la sua opera viene spesso dichiarata empia, tuttavia viene utilizzata e stravolta). Con l’aiuto dei corpi sociali produttivi e contro le parti della città che mettono a rischio la sua autorità, il Principe organizza un potere politico forte e concentrato. Egli farà in modo di costruire un efficace rapporto di comando/obbedienza nei confronti del popolo reso docile nei comportamenti, attraverso un’azione politica dinamica, discreta, interminabile; si tratta quindi di un complesso di pratiche/tecniche di conservazione che opera perseguendo un criterio di esclusione, pure violenta, di quelle forze che si ostinano a volere introdurre innovazioni nella rete delle relazioni dei poteri. Si può con certezza affermare che, prendendo avvio dal modello italiano, pratiche/discorsi/scritture di ragion di Stato si diffondono in tutti i paesi europei, certamente adattandosi alle forme di civilizzazione e alle soggettivazioni specifiche dei diversi contesti regionali. Questo strumento di razionalizzazione della politica contribuisce potentemente al primo sviluppo del cosiddetto Stato moderno, sostiene quelle forme di Stato di polizia (buon governo: Polizei, police, policy) che produce disciplinamento sociale per una popolazione resa obbediente grazie a efficaci dispositivi giuridici: si tratta di una normazione che riguarda la sicurezza sulla vita, la sanità e l’igiene nelle attività produttive, l’amministrazione fluida delle forme diverse di proprietà, l’attenta regolamentazione degli stili di vita e delle condotte. Tutto questo rende più ricchi e potenti gli Stati in Europa e consente gli sviluppi di una diplomazia europea che produce equilibrio nelle relazioni internazionali.

4. Fino alla fine del secolo scorso, la categoria di ragion di Stato veniva comunemente studiata e rappresentata dagli storici in riferimento all’epoca dell’affermazione delle cosiddette monarchie assolutiste, come espressione di un modo ormai obsoleto e inattuale di praticare il governo[1]; diversamente, questa ricerca intende ricostruirne sviluppi, radicamenti e svolgimenti ordinari nell’intera storia del nostro paese fino all’età contemporanea. Da questo principale obiettivo prende origine la convinzione d’intervenire con gli strumenti della critica genealogica – che mutuo dall’impresa teorica di Michel Foucault – che cerca di cogliere alcune determinazioni costanti negli avvenimenti del nostro paese operando innanzitutto una ricostruzione sui tempi lunghi delle pratiche di soggettività e dei criteri di (auto)governo che gli italiani si sono assegnati, a partire appunto dal periodo di crisi della stagione rinascimentale.

Il lavoro di genealogia punta innanzitutto sull’indagine delle forme di vita: la ricerca prende avvio dal modo in cui singolarità differenti assumono particolare configurazione nei determinati contesti in cui vengono compiendosi processi di trasformazione del sé, di conversione etica. I modi con cui ciascun individuo entra a far parte della rete di produzione dei poteri impegnando proiezioni di verità che assume dal proprio ambiente di nascita, da una professione religiosa, dai valori identitari del contesto storico di appartenenza. Questo genere di conversione di sé, che quasi sempre prende avvio in modo inconscio ed anche come riflesso speculare di condotte e d’ideologie di figure che appartengono al vissuto quotidiano, piega nel flusso delle pratiche di sé che comportano via via integrazione in un corpo più ampio di soggetti. Le soggettivazioni di singolarità vivono bisogni/desideri che si mettono alla prova nella realizzazione di forme collettive della produzione dei poteri: da qui derivano ordinariamente il confronto ed i conflitti con altri processi di soggettivazioni[2]. Accade infatti che pratiche caratterizzate da radicali differenze tendano alla costituzione di nuove soggettivazioni, impiantando un disegno immaginario inedito, dando origine a eventi di rottura nei comportamenti, nelle rappresentazioni artistiche, nelle modalità del conoscere. Si aprono allora spiragli di possibili trasformazioni nelle relazioni vigenti dei poteri. È quindi importante studiare i caratteri diversi che assumono soggettivazioni differenti: quelle che persistono sui tempi lunghi, attraverso le storie dei corpi che si prolungano nelle successive generazioni, che danno vita a forme di governo determinate dei comportamenti, sedimentando coaguli conservativi di poteri. Contemporaneamente, si tratta di studiare pratiche/linguaggi che aprono a forme nuove di soggettivazioni.

L’attenzione critica deve pertanto essere rivolta agli antagonismi – che nei tempi lunghi tendono ad assumere caratteri originari e permanenti – tra soggettivazioni impegnate a rinforzare la costituzione materiale degli assetti conservativi ed altre agglomerazioni nascenti rivolte a destabilizzare la composizione già strutturata dei poteri. Alle forme sedimentate e tradizionali della governamentalità di carattere conservativo vengono opponendosi forme diverse del governo degli uomini: queste soggettivazioni insorgenti inducono inevitabilmente conflitti in modi diversi e verranno puntualmente contrastate con dispositivi adeguati. Nel paradigma conservativo di ragion di Stato, il soggetto che detiene il potere è chiamato innanzitutto ad intervenire in questa rete fittissima ed intricata di conflitti: una primaria attenzione va dunque rivolta alle soggettivazioni emergenti, intervenendo al fine di convertire imprevisti indirizzi contrastivi oppure d’impedire del tutto l’insorgenza di nuovi pericolosi soggetti collettivi. Quindi, il principe opera in modo da conservare la situazione di privilegio operando con attenta cura su se stesso, arricchendo le proprie capacità di autogoverno, e contemporaneamente promuovendo tensioni reattive nei confronti dei soggetti avversi. Il soggetto di comando interviene al fine di sciogliere i conflitti in atto che si presentano divisibili; cerca di neutralizzare questo genere di contrasti isolandoli e separandoli l’uno dall’altro, oppure affrontandoli secondo un ordine gerarchico d’importanza; ancora, allorquando gli antagonismi sono particolarmente rilevanti, provvede ad ampliare il campo dello scontro, attivando altre contese che producano impedimenti ai conflitti in atto. In queste vicende, costante deve rimanere lo sforzo di consolidare l’agglomerazione delle forze resilienti, di qui il funzionale controllo dei comportamenti degli individui e dei ceti finalizzato a perimetrare l’area delle condotte funzionalmente conservative, procedendo normalmente all’esclusione delle parti della popolazione riscontrate avverse ed oppositive.

5. Nelle teorie/pratiche di ragion di Stato non troviamo alcun riferimento ad un ordine strutturato del mondo naturale, a leggi fondamentali della natura o della creazione divina. L’arte di governo per ragion di Stato opera in un tempo storico e politico che è un tempo indefinito, perpetuo e conservativo: non si tratta più del tempo escatologico, piuttosto il tempo della storia è indeterminato, aperto al fluire aleatorio delle vicende politiche. Questo genere di dispositivo conservativo prevede l’articolazione dinamica delle decisioni e l’utilizzo funzionale e particolarmente produttivo dei tempi d’esecuzione; le variabili temporali risultano decisive per il successo delle operazioni: ritardi prolungati, accelerazioni improvvise, rinvii calcolati, sospensioni inaspettate. Questa serie d’interventi prevede pure l’utilizzo di tecniche che vanno prescelte a seconda dei contesti: dissimulazione/segretezza come misura di copertura difensiva e di conveniente posizionamento per un’aggressione efficace; simulazione/inganno da utilizzare nelle strategie di attacco al fine di procurare un danno agli altri; deroghe/sottrazioni agli ordinamenti vigenti per consentire rapide ritirate oppure per ampliare i percorsi delle strategie vincenti; prerogative particolari per costituire comunque traiettorie protette di uscita.

Dalla fine del Cinquecento, una ricca trattatistica si dedica alla codificazione dei dispositivi d’intervento ed alle forme della sperimentazione delle tecnologie della prudenza politica (secondo variabili determinate: tipo e consistenza delle soggettivazioni, tempi, luoghi, ordinamenti giuridici, e così via): in questo modo vengono accrescendosi controllo ed aggiornamento delle relative applicazioni. Lo scopo principale consiste nella concentrazione di potere specificamente politico nelle mani di un solo attore, il principe, che persegue questo obiettivo grazie all’ausilio di un’intera corte; in seguito questa funzione verrà svolta via via da un numero crescente di personaggi, fino ad identificarsi in epoca contemporanea come attività determinata di una classe politica, di gruppi organizzati di poteri o di partiti politici (la ragione di partito) che perimetrano gelosamente la zona del proprio comando. Questo genere di pratiche e di tecnologie si diffonderanno nei paesi europei, diventando strumento ordinario di efficace conservazione politica nelle monarchie assolutistiche; contribuiranno a sedimentare la costituzione di apparati istituzionali strutturati (consigli del principe, gabinetti e camere dell’amministrazione, funzioni ministeriali, segreterie, archivi), indispensabili per costituire quell’area di dominazione che verrà nominata già nella seconda metà del Seicento, a partire dai territori dell’Europa centrale, stato di polizia. Di qui un’ulteriore decisiva spinta al progetto originario del paradigma della conservazione politica rivolto ad utilizzare produttivamente la serie di quei saperi governamentali idonei al governo degli uomini, al fine dell’incremento delle condizioni di sicurezza di vita delle popolazioni, degli sviluppi della ricchezza sociale e della potenza dello Stato (economia, statistica, diritto, geografia, architettura, urbanistica, demografia). Di qui pure la normalizzazione di pratiche politiche di dinamica conservazione: da un lato, la formazione di modalità di (auto)disciplinamento collettivo che operano nel senso di costruire il consenso attivo delle popolazioni ed insieme l’autonomia crescente di uno spazio definito d’interessi (polizia civile); dall’altro lato, e contemporaneamente, un criterio flessibile e premiale di inclusione/esclusione per gli individui e per i gruppi economici viene perseguito dal principe al fine della quiete sociale.

Lungo tutto il Settecento, l’articolazione di questi processi contribuirà anche a segnare ulteriori importanti trasformazioni nei modi di praticare la politica prudenziale. Intanto, i dispositivi conservativi di ragion di Stato verranno poco alla volta integrandosi nelle modalità ordinarie del governo di sovranità; in questo processo, verrà accentuandosi quella separazione funzionale tra esercizio del governo della popolazione affidato ai consiglieri del re nelle camere amministrative rispetto alla gestione delle relazioni internazionali: nei rapporti di forza tra le nazioni, il dispositivo diplomatico-militare di ragion di Stato resterà concentrato interamente nelle mani del sovrano e della sua corte. Una nuova importante caratterizzazione della ragion di Stato si affermerà nel pieno illuminismo settecentesco. In forma crescente, sovrani e ceti intellettuali verranno apertamente producendo interrogazioni critiche sull’utilizzo spregiudicato delle tecniche prudenziali: «bisogna ingannare il popolo?», recita il tema del concorso che la Reale Accademia Prussiana di Scienze e Lettere, su sollecitazione di Federico II, proponeva agli esponenti della cultura europea. In altri contesti, soprattutto nei giudizi espressi da una parte consistente delle autorità ecclesiastiche cattoliche, questo lemma verrà perdendo attribuzioni di carattere positivo e sarà comunemente associato alle modalità perverse, addirittura dispotiche, dell’agire politico. 

6. Gli avvenimenti rivoluzionari di fine Settecento nell’America del Nord e in Francia contribuiscono a costituire una legislazione costituzionale dei diritti di libertà, ponendo le basi di quel moderno Stato di diritto e del governo rappresentativo che verranno via via confliggendo con i processi di concentrazione politica indotti dalla ragion di Stato. Rispetto a questi sviluppi, accade che in alcuni paesi viene per lungo tempo ritardato il passaggio dalle politiche di ragion di Stato alle forme dello stato moderno di polizia e, in seguito, alla costituzione di un’autonoma società civile. Questo accade sicuramente in Italia per una serie di motivi che saranno analizzati in questa ricerca, benché coinvolga tutta una vasta area prevalentemente mediterranea. Pure scarsa è la consapevolezza di questi fenomeni; nella nostra cultura civile, un’eccezione importante è costituita da Giacomo Leopardi, che – nello scritto Sul costume degli italiani (1824) – lamenta il fatto che in Italia non si è costituita una società stretta, una società civile, così come viene costituendosi nelle grandi nazioni europee: piuttosto i costumi degli italiani risultano corrotti dalle forme ormai perverse di civil conversazione, mentre – aggiungiamo noi – permangono nella politica i dispositivi di carattere prevalentemente diplomatico e conservativo degli strumenti della ragion di Stato.

In effetti, all’interno dei processi che nella civilizzazione occidentale spingeranno gli Stati-Nazioni verso forme nuove di governo con modalità differenti e conflittuali, in Italia le articolazioni delle politiche prudenziali saranno indotte a misurarsi con l’affermarsi del nuovo sistema socio-economico dell’Europa e con i dispositivi moderni della sovranità e del governo rappresentativo. Bisogna subito aggiungere che anche nelle nazioni europee più civili e socialmente evolute permangono dispositivi di ragion di Stato, vale a dire della segretezza e delle decisioni discrezionali: per questi aspetti la ragion di Stato diventa il lato oscuro, invisibile, delle costituzioni delle sovranità nazionali. Su questo versante, quel genere di politica opaca intende garantire comunque la conservazione dei poteri politici esistenti: attraverso l’utilizzo di prerogative, inserite all’interno delle carte costituzionali, e di deroghe alle norme degli ordinamenti giuridici viene limitato l’esercizio pieno dello Stato di diritto.

In Italia, la serie di ritardi e d’inadempienze sul fronte della piena attuazione del criterio rappresentativo è da imputare alla presenza di antagonismi originari e permanenti, non divisibili, che segnano le vite e le storie dei soggetti e delle comunità con sofferenze dolorosissime e tragiche, ed esperienze ricorrenti per tempi lunghissimi. La strutturale, ma funzionale, ambiguità della conservazione politica continua ad operare normalmente. Ma la buona o cattiva ragion di Stato promuoveranno esiti differenti: produrranno adattamenti agli ordinamenti politico-giuridici ed alle politiche pubbliche, oppure interverranno con gli strumenti dell’estrema violenza allorquando la conservazione del comando politico risulta irrimediabilmente compromessa. Bisogna allora ricostruire la serie delle trasformazioni che convertiranno la matrice originaria di rapporto tra Machiavelli, ragion di Stato, polizia cristiana, in un’altra serie di dinamiche relazioni tra poteri: repubblica, ragion di Stato, democrazia cristiana.


Il presente volume vuole ricostruire elementi e movimenti di questa complessa trasformazione di pratiche/linguaggi/scritture prodotti nelle regioni italiane che sosterranno le lotte per la libertà e per l’indipendenza. Non è certamente un caso che l’impresa dell’unificazione politica prenda corpo all’interno di un processo di guerra civile permanente, che perdura fino ai nostri tempi: in forme diversificate, coperti e attenuati per lunghi periodi, gli antagonismi irrisolti esplodono periodicamente in forme violente, normalmente incontrollabili. Prodotta da soggettivazioni passate e recenti tra loro contrastive (pastorale, liberale, massonica, mafiosa, fascista, repubblicana), questa serie di antagonismi irrisolvibili hanno impedito nella maggior parte dei territori italiani la formazione di un’autonoma società civile e la costituzione di una solida istituzione statale. Inoltre, una parte consistente dei ritardi della formazione civile nel nostro paese è da attribuire storicamente al peso consistente che la religione ha ricoperto nell’esercizio dei poteri locali, allorquando l’impatto tra ragion di Stato e ragione di Chiesa ha indotto periodi lunghi di passività civile e di separatezza dei devoti rispetto agli ordinamenti costituiti. A fine Ottocento, una revisione radicale della polizia cristiana apre quindi agli scenari dell’impegno più articolato e mediato dei cattolici all’interno della comunità italiana fino al punto di volere assegnare alla professione di fede una diretta rappresentazione politica (democrazia cristiana).

7. A confronto con le novità indotte dalla crescita della civilizzazione liberal-tecnocratica e dalle profonde trasformazioni sociali indotte dall’organizzazione capitalistica del lavoro, nel nostro paese rimane dunque ben presente questa modalità particolare dell’esercizio dinamico del paradigma della conservazione politica (ragion di Stato), che viene via via adattandosi alle modalità proprie del governo rappresentativo e costituzionale. Nella prima fase di costruzione dell’unità nazionale, la ragion di Stato monarchica avocherà a sé il pieno indiscutibile governo della strategia diplomatico-militare; quindi, spingerà il governo liberale ad affermare ordinariamente il primato dei dispositivi della conservazione politica prudenziale sull’esercizio del governo rappresentativo. In seguito, nei passaggi più gravi del proprio affondamento, agirà fino al punto di ricorrere a periodici colpi di stato e alla dittatura fascista. Dopo il fallimento del tentativo di formazione di una soggettivazione rivoluzionaria nel periodo del biennio rosso e dell’impresa di Fiume, la marcatura repubblicana (repubblica) riuscirà a riscattare una propria autonomia all’indomani del secondo conflitto mondiale, attivando a livello di massa processi di liberazione dei comportamenti e di avanzamento sociale; la guerra partigiana porterà alla formazione di una soggettivazione specificamente repubblicana.

Nel secondo dopoguerra, l’Italia resta impegnata in incessanti conflitti sulla linea di frontiera dell’alleanza dei paesi atlantici: la democrazia cristiana gestisce dispositivi conservativi efficaci nel contenere la serie dei duri antagonismi che intrecciano sul territorio italiano le enormi pressioni internazionali e le gravi emergenze nazionali. Questa serie di eventi si verificano in forme fortemente conflittuali che tuttavia consentiranno la costruzione del sistema repubblicano dell’esercizio dei poteri, fin dalle origini contraddetto nella propria autonomia dal groviglio degli interessi internazionali in territorio italiano conseguenti agli accordi di Yalta e dalla perdurante soggettivazione fascista. Questa intricata condizione della storia italiana richiama l’altra componente ricorrente nei dispositivi di ragion di Stato nel periodo della formazione della nascente repubblica democratica: ancora una volta, allorquando l’equilibrio dei poteri vigenti risulta irrimediabilmente compromesso e viene profilandosi con evidenza il rischio dell’implosione, la ragion di Stato introduce strumenti d’inaudita violenza. Si può riconoscere agevolmente questa storia seguendo le vicende di stragismi/terrorismi che segneranno con tragica continuità il nostro paese. La rappresentazione diretta della soggettivazione cattolica nelle forme del governo elettivo e costituzionale porterà ancora all’ordinario esercizio di una politica essenzialmente conservativa da parte della Democrazia cristiana; nelle lettere spedite alla direzione del suo partito, nei momenti più dolorosi della sua vita, Aldo Moro sconfesserà questo ricorso perdurante alle strategie di ragion di Stato, che giudica ormai inefficaci e che considera come l’ostacolo principale alla sua stessa sopravvivenza. La rigidità di un sistema politico bloccato, interessato unicamente alla sua autoriproduzione, porterà alla dissoluzione e al disastro: dalla data dell’uccisione di Aldo Moro prende simbolicamente avvio lo sgretolamento inarrestabile dell’impianto istituzionale e costituzionale del nostro paese, che precipiterà nei primi anni novanta nella fine (ancora lasciata irrisolta) della prima Repubblica.


[1] Per il riferimento alla copiosa bibliografia e all’importanza della ricerca sul tema della ragion di Stato nella seconda metà del secolo scorso vedi del sottoscritto Machiavelli, ragion di Stato, polizia cristiana, Genealogie 1, Napoli 2017, pp. 122-124. 

[2] In questa ricerca utilizzo la nozione di soggettivazione come principale chiave ermeneutica della critica genealogica di Michel Foucault; per introdursi a questa tema vedi dapprima il saggio pubblicato nel 1982, Le sujet et le puovoir (nella raccolta di scritti Michel Foucault Dites et ecrits, Paris 2001, pp. 1041-1062; trad. it. in Hubert L. Dreyfus-Paul Rabinow, La ricerca di Michel Foucault. Analitica della verità e storia del presente, Firenze 1989, pp. 237-254; ed ancora la voce Foucault, scritta per il Dictionaire des philosophes, Paris 1984, t. I, pp. 942-944, ora in Dites et écrits II, 1976-1988, Paris 2001, pp. 1451-1455; trad. it. in Antologia. L’impazienza della libertà, a cura di V. Sorrentino, Milano 1984, pp. 1-5). Il tema della soggettivazione viene marcato dal filosofo come il fulcro della ricerca in corso nell’ultimo periodo della sua vita: punto di sintesi della complessa indagine dedicata alla serie delle relazioni intercorrenti tra ermeneutica del soggetto, processi di veridizione, gestione governamentale della produzione dei poteri. Nella lezione d’avvio del primo corso dedicato al tema del Governo di sé e degli altri (Le courage de la vérité. Le gouvernement de soi et des autres, II, Cours au Collège de France (1982-1983), éd. établie par F. Gros, Paris 2008; trad. it. a cura di M. Galzigna, Il governo di sé e degli altri, a cura di M. Galzigna, Milano 2009, lezione del 5 gennaio 1983, pp. 14-15), Foucault spiegava, con una modalità retrospettiva esplicitamente didattica, gli spostamenti in atto nel suo proprio percorso di ricerca richiamando i tre assi delle articolazioni principali (focolai d’esperienza) del lavoro svolto fino a quel punto: dapprima, l’asse della formazione dei saperi, che mette a fuoco la costituzione delle scienze empiriche del Seicento e del Settecento (la storia naturale, la grammatica generale, l‘economia) ponendo al centro le pratiche discorsive che organizzano e costituiscono questi saperi, dando origine a figure diverse di veridizione; di seguito, l’asse costituita dall’indagine delle matrici normative di comportamento che producono tracciati di poteri e procedure determinate di governamentalità; infine, l’indagine dell’asse di costituzione del modo di essere soggetto: di qui l’analisi delle differenti forme attraverso le quali l’individuo è portato egli stesso a costituirsi come soggetto. Solo a questo punto, grazie alla dinamica interconnessione di questi tre diversi piani di ricerca, articolati pure in assi temporali differenti d’elaborazione, emerge la possibilità di passare finalmente al nuovo campo dell’indagine: andare «dalla questione del soggetto all’analisi delle forme di soggettivazione – e di analizzare queste stesse forme di soggettivazione attraverso le tecniche/tecnologie del rapporto a sé, o, se volete, attraverso quella che si può definire la pragmatica di sé» (ivi, pp. 14-15). Grazie all’articolazione determinata, resa specifica nei contesti storici determinati, della sequenza forme di veridizione ­> procedure di governamentalità > modalità d’attuazione della pragmatica di sé, diventa possibile comprendere e intervenire sulle forme di composizione delle singolarità individuali e dei soggetti collettivi che mettono capo a strategie differenziate di produzioni di poteri. Molteplici forme di soggettivazioni vengono allora a confronto, alcune di queste assumono ruoli specificamente politici nel quadro complesso della produzione di conflitti e antagonismi; di qui le complesse dinamiche di assoggettamenti e di resistenze tra soggettivazioni diverse: ed ancora, i capovolgimenti delle posizioni di dominazione realizzate e gli eventi di trasformazioni inedite sul piano dei dispositivi governamentali.

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