Salus populi suprema lex esto. La democrazia alla prova del virus

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di Alessandro Arienzo (Univ. “Federico II”).

La dimensione oramai pandemica del Covid19, e il radicalizzarsi delle misure di contrasto, ha moltiplicato le riflessioni economiche, politiche e sociali che tentano di fare il punto di quanto sta accadendo. E che s’interrogano sul senso e sul verso dei cambiamenti che questa crisi produrrà nei prossimi anni. Del resto, la pandemia non solo ha mostrato la sua drammatica violenza sul piano sanitario, ma ha colpito duramente le istituzioni politiche ed economiche, nonché – almeno nel breve termine – le nostre vite e la nostra socialità. Siamo di fronte a una situazione senza precedenti (come vedremo, per lo meno senza precedenti recenti), ed è ormai convinzione comune che, quando la pandemia sarà superata, non si tornerà, né si potrà tornare, allo status quo ante Covid19. In tal senso, se il filosofo francese Alain Badiou, in un suo recente intervento, ha forse ragione nel non voler esaltare né l’eccezionalismo apocalittico che traspare in molte riflessioni critiche[1], né l’ottimismo progressista di chi legge nelle ricadute della crisi soglie di apertura “rivoluzionarie”, questa crisi non è però paragonabile alle precedenti, siano esse l’HIV, la Sars1, la MERS o anche la crisi economico-finanziaria del 2007-2008.

Più che un momento “critico”, riteniamo allora che questa pandemia costituisca una sorta di punto di singolarità storica. Il verso che assumerà questo salto, se essa sarà occasione di una ulteriore stretta conservativa oppure l’occasione per una radicale trasformazione innovativa delle forme della vita associata, non è ad oggi affatto chiaro, né – per fortuna – scontato. E’ indubbio che gli eventi dipenderanno dalla durata e dalla estensione globale del contagio, e dalle scelte sanitarie ed economiche che si faranno nelle prossime settimane. L’obiettivo degli interventi che seguiranno non vuole essere, né potrebbe essere, quello di prefigurare scenari futuri. Piuttosto, riteniamo utile mappare i problemi coi quali dovremo fare i conti, e discutere alcune delle più interessanti proposte di riflessione che emergono nel dibattito pubblico. Convinti che il prossimo futuro non dipenderà dal virus, ma dalla qualità dell’incontro tra riflessione e azione.

Nei prossimi giorni pubblicheremo allora una serie di contributi che intervengono su una serie di piani problematici in cui pandemia incrocia e interroga “la politica”.

1. Sulle relazioni tra Stati nella cosiddetta globalizzazione; relazioni che appaiono stravolte in breve tempo da un fenomeno che è naturale, ma che è al contempo strettamente legato alla dimensione globalizzata e pervasiva dell’umano. Del resto, la circolazione del virus ha seguito, nel suo diffondersi le vie del commercio e le “catene di valore” internazionali, a partire dalla provincia cinese di Wuhan. E ancora ad oggi i suoi confini abbracciano prevalentemente i continenti Europa e Nord Americano (con l’interessante eccezione dell’Iran in Medio Oriente). Che il virus “abbia viaggiato in aereo” spiega, quindi, la rapidità del contagio. E la sua rapida propagazione ha quindi imposto politiche di chiusura e di isolamento. Eppure, se la necessità di rispondere alla crisi sanitaria impone il blocco degli spazi nazionali (a partire dal controllo della mobilità e delle frontiere oltre che una certa recrudescenza nelle relazioni conflittuali tra gli Stati), la gestione del fenomeno pandemico sollecita pure riposte globali, sia per il contenimento e il contrasto al virus (quindi sul piano scientifico e sanitario), sia per gestire le ricadute socio-economiche delle politiche di distanziamento. Proprio nel gioco tra gestione interna della crisi, e esercizio di un soft power internazionale, è certamente plausibile che, ridisegnando le linee delle relazioni tra gli Stati e le aree economiche del pianeta, la crisi possa segnare un momento di trasformazione più complessiva delle egemonie globali e degli assetti che reggono l’attuale governance internazionale. Magari spostato ulteriormente a Ovest, oppure ad Est, la nuova direttrice egemonica globale.

2. Sui sistemi istituzionali e gli equilibri politici e sociali democratici. Le democrazie avanzate sono quelle che scontano la maggiore pressione sul sistema politico-istituzionale della crisi Covid. Questa tensione si esercita a diversi livelli, tra loro intrecciati. Il primo è connesso alle misure di emergenza che, in diversi paesi, hanno comportato la sospensione delle ordinarie relazioni istituzionali e la drastica riduzione di alcuni diritti individuali e collettivi. Sono note, ma ci torneremo, le tesi del filosofo Giorgio Agamben che legge in questi sviluppi il palesarsi di una logica dell’eccezione che emerge nella crisi per esercitare un ancor più pervasivo potere sui corpi. Tuttavia, anche posizioni più concilianti, che interpretano questi sviluppi alla luce del ri-equilibrarsi dei poteri in casi di emergenza e di necessità, mettono in evidenza i rischi che, se la crisi dovesse durare troppo a lungo, anche in sistemi democratico-costituzionali relativamente solidi si potrebbero produrre alterazioni permanenti nell’equilibrio tra governo e diritti. Indicativo, per il caso Europeo, è quanto sta accadendo in Ungheria in cui “l’occasione Covid19” viene consapevolmente utilizzata per operare una sostanziale distorsione degli equilibri politici e istituzionali. Il piano politico istituzionale, peraltro, non è l’unico (e forse neppure il più importante) tra quelli in cui la pandemia rischia di incidere in profondità nelle società democratiche. Le politiche di distanziamento, la paura diffusa, il moltiplicarsi delle vittime, rischiano di minare la tenuta stessa dei legami sociali che danno un corpo a quel “popolo” che si vorrebbe tutelare. A maggior ragione se alle ansie e alle paure che attraversano il corpo sociale, si affiancano le ricadute economiche della crisi: l’acuirsi dei tassi di povertà relativa e assoluta rischiano di convertire il distanziamento sociale in maggiore distinzione sociale e in un maggiore risentimento verso chi è “meno” colpito oppure – e più genericamente – nei confronti dell’altro. Per altro, a differenza delle più comuni crisi migratorie, ideologiche o militari, l’Altro del Covid19 ci è radicalmente prossimo, e difficilmente può essere rappresentato come “il diverso” o lo straniero, e quindi collocato all’esterno dello spazio nazionale o politico. In ultimo, le scelte di politica sanitaria hanno implicazioni rilevanti nelle logiche del governo delle popolazioni, implicitamente rappresentando le priorità della vita associata: se Bolsonaro (e in una certa fase Boris Johnson) sostiene le necessità dell’ordinaria vita economica, rivendicando l’inazione e la necessità di un numero statisticamente inevitabile di morti come strumento per favorire l’immunità del gregge, in Italia si è perseguita una strada di prevalente tutela sanitaria che subordina la salvezza delle vite alla sostenibilità economica. Sotto la pressione della pandemia, gli Stati democratici sono quindi obbligati a fare i conti innanzitutto con la propria ragione politica e istituzionale, oltre che a dover ripensare il senso e la funzione delle proprie politiche di welfare, delle politiche economiche e monetarie, dei propri sistemi fiscali, della propria collocazione politica e economica internazionale.

3. Sull’Unione Europea. La crisi ha un impatto potenzialmente devastante sull’Unione e sulla aggregazione monetaria che conosciamo come Eurozona. Ad oggi, l’UE si si è mostrata incapace di esercitare un’opera di coordinamento degli interventi sanitari dei singoli Stati – non facendo propria l’idea che la pandemia fosse questione propriamente Europea – ma anche di individuare interventi sanitari e economici a supporto dei singoli Stati. Una risposta tardiva (e oscillante) è quella cui abbiamo assistito da parte della BCE: se è riuscita ad oggi a tenere sotto controllo “gli spread” dei paesi coinvolti, la Banca Centrale Europea mostra forse una sostanziale incomprensione verso la natura straordinaria di quanto sta accadendo. Ancora meno efficace, ad oggi, la risposta delle istituzioni politiche dell’Unione, che non sembra complessivamente in grado di mettere in discussione alcuni dei principi della propria governance economica comune (e i suoi rapporti di forza interni) per come si sono affermati almeno dalla crisi economica del 2008. Certamente, in un’architettura politica che esalta sempre più la dimensione intergovernativa, il principio di solidarietà sembra ulteriormente pregiudicato dal continuo conflitto/negoziato tra gli interessi e le visioni particolari. È possibile – ma non scontato – che, se la crisi dovesse ulteriormente aggravarsi, almeno un principio d’auto-conservazione economico-politica intervenga a limitare i danni: indicativa, ma non ancora sufficiente, la sospensione del principio del pareggio di bilancio. Ad oggi mancano accordi sulla revisione del MES o su strumenti come i bond europei richiesti da una parte degli Stati aderenti. A fronte della necessità di reagire ad una crisi sanitaria che si sta trasformando rapidamente in una crisi economica che rischia di far tracollare politicamente l’UE, sembra quasi che l’obiettivo di una parte dei paesi sia “di prendere tempo”. L’Unione Europa si trova nuovamente, e nel giro di pochi anni, a dover comunque fare i conti con tutti i propri limiti e i propri fallimenti: la divisione Nord / Sud, una struttura politico-istituzionale sovranazionale condizionata dalla prevalenza della dimensione inter-governamentale, l’assenza di politiche fiscali comuni e condivise, la mancanza di strumenti per la gestione coordinata e comune delle crisi. Più a fondo, è forse l’assenza di una visione politica e istituzionale complessiva e condivisa che risalta nel vuoto di azione europeo fatto emergere dal Covid19.

4. Sull’ordine economico globale. Quali politiche economiche siano necessarie a tamponare le ricadute delle misure di distanziamento, e a rilanciare l’economia, è diventata una questione tanto importante nel dibattito pubblico quanto quella delle misure sanitarie necessarie a contrastare il virus. La forte riduzione degli scambi economici su scala globale (i dati sul PIL di alcuni degli Stati e dell’economia globale sono shoccanti) , la parziale chiusura delle attività produttive e commerciali, le ricadute a breve termine sulle borse internazionali, e più in generale le incertezze finanziarie prodotte dall’aumento dei deficit di bilancio degli Stati e da una possibile nuova crisi fiscale, gettano ombre sul dopo Covid19. Nel frattempo, le ricadute sociali di questa crisi, oltre ad essere potenzialmente più ampie di quella del 2008, sono certamente più diffuse. Eppure, proprio questi scenari stanno suscitano una riflessione a tratti nuova sul ruolo delle politiche pubbliche di investimento, sul ruolo delle banche centrali, sulla necessità di strumenti di welfare e di sostegno diretto a imprese e individui. Basti pensare al confronto in campo su temi, fino ad oggi rimasti sottotraccia nel dibattito economico pubblico, come l’helicopter money o il reddito di base. Sembra profilarsi, anche in campo economico, la possibilità di una rottura degli equilibri tra economia e politica che si sono affermati con la fine del “capitalismo democratico” tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. Che si sia alle soglie di un nuovo mutamento nelle relazioni tra economia e politica?

5. Sui rapporti tra scienza, tecnologia e società democratica. La risposta della Corea del Sud – più ancora di Taiwan e Hong Kong – al Covid19, basata sul massiccio ricorso ai big data, sulla geolocalizzazione e mappatura dei contagi, sulla diffusione capillare e orizzontale dei controlli, mostra un salto tecnologico nel governo dei fenomeni sociali, le cui potenziali ricadute sono ancora tutte da comprendere. Se è apparsa efficacissima la risposta sanitaria, è però inquietante la capillarità con cui uno Stato – benché ai fini della salute pubblica – sia entrato nelle vite dei singoli, per ricostruirne tutti i contatti e spostamenti. Si potrebbe allora liquidare quanto sta accadendo come l’occasione per il consolidarsi di una sempre più pervasiva “società del controllo”. Altre tesi sono però in campo, che sottolineano come questi avvenimenti – se letti nella loro complessità – mostrano anche un momento importante nell’integrazione tra scienza, tecnologia e politica. Basti pensare all’improvviso (certo anche improvvisato) ricorso allo smart-work e alla comunicazione on-line come risposta alla necessità di tenere comunque attive le principali linee produttive e riproduttive sociali. Oppure al largo uso di strumenti per la disseminazione libera dei dati scientifici e epidemiologici sul Covid19 e sulle sue potenziali terapie. In tutti questi fenomeni emerge comunque il duplice volto della crisi. Si pensi al caso dello smart-work in cui si oscilla tra i rischi di un crescente comando del lavoro sulle vite (il lavoro di prende la vita, a partire dallo spazio domestico) e – all’opposto – sulle possibili forme nuove – si spera più cooperative – di organizzazione del lavoro e della produzione, tali anche da favorire un migliore bilanciamento tra tempo di lavoro e tempo di vita. Sul piano del rapporto tra scienza, tecnologie e politica, la necessità di individuare in tempi rapidi un vaccino o di produrre – in maniera massiccia, diffusa e capillare – dispositivi sanitari, sembra aver favorito invece: a. una straordinaria capacità di collaborazione e cooperazione scientifica globale, con la rapidissima circolazione delle informazioni sul virus e il convergere di un numero enorme di centri e gruppi di ricerca; b. una inedita capacità di produzione e innovazione “sanitari” favorita da tecnologie, come la stampa 3d, o da pratiche come la progettazione partecipata e la sperimentazione aperta di prototipi sanitari.

Senza alcuna pretesa di esaustività, su tutti questi temi, nei prossimi giorni tenteremo di sintetizzare alcune tra le principali linee di riflessione e di proposta che sono emerse in queste settimane. Per farlo, crediamo sia innanzitutto opportuno nel prossimo post – che pubblicheremo tra qualche giorno – offrire una lettura di lungo periodo di questa pandemia per coglierne le specificità, e quindi le sfide. Tenteremo, in altri termini, di rispondere alla domanda su cosa è il Covid19 e quali sono le sue immediate implicazioni politico-sanitarie.


[1] A. Badiou, Sulla situazione epidemica, DoppioZero, 27 marzo 2020.

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