Ragioni della Chiesa e dello Stato: una nuova stagione di studi

Stampa questo articolo Stampa questo articolo

In occasione della pubblicazione del recente volume a cura di Gianfranco Borrelli e Lorenzo Coccoli (Bibliopolis, 2019) pubblichiamo la premessa al testo curata da Alessandro Arienzo. Il volume raccoglie i contributi presentati e discussi durante due incontri che si sono tenuti a Roma presso la Biblioteca Vallicelliana (26-27 maggio 2016) e all’Università degli studi di Padova (29 marzo 2017). Nelle prossime settimane renderemo disponibile l’ampia introduzione al volume dei due curatori.


Ragioni della Chiesa e ragioni dello Stato: per una nuova stagione di studi

L’espressione ragion di Stato nasce nel contesto della cultura politica del tardo Rinascimento con una pluralità di significati e usi che non è affatto riducibile – come spesso accade nel dibattito comune e pubblicistico – al solo ricorso alla forza, al segreto, o a strumenti eccezionali da parte del detentore del potere politico. Dal suo primo emergere nella cultura politica italiana di fine Cinquecento essa appare invece come parte determinante di un più complessivo processo di razionalizzazione politica moderna che accompagna il consolidarsi degli stati territoriali moderni. Nel riflettere intorno alla ragione degli Stati e dello Stato, e sugli strumenti necessari al suo governo e alla sua conservazione, questo variegato corpus di scritti ha contribuito a pensare, e quindi “produrre”, lo Stato a partire dalle necessità del suo governo. Le molteplici traduzioni europee dell’espressione italiana – Raison d’État, Reason of State, Razon de Estado, Staatsräson – non costituiscono pertanto la mera trasposizione di un lemma in lingue differenti, ma rappresentano l’adattamento di uno specifico orizzonte pratico-politico agli ambienti storici, politici e istituzionali costituiti dai singoli Stati.

Nell’interpretazione “classica” della ragion di Stato offerta da Fredrich Meineke nel suo Die Idee der Staatsräson in der neuren Geschichte, essa è interpretata come quella norma dell’azione politica – indice di un ineliminabile contrasto tra ethos e kratos – che indica all’uomo politico ciò che è necessario fare per conservare lo stato “vigoroso e forte” [1]. La Staatsräson è quindi nella sua essenza “machiavellismo” e politica di potenza. Tra gli anni ’50 e ’70 del Novecento, tuttavia, un’importante serie di studi storico-filologici ha contribuito a problematizzare l’approccio meineckiano: si pensi agli studi di Rodolfo De Mattei, di José A. Maravall, di Étienne Thuau, di Luigi Firpo e George L. Mosse E Carl J. Friedrich[2].E si pensi all’importante convegno di studi promosso da Roman Schnür e tenutosi a Tubinga nel 1974 i cui contributi[3], forse per la prima volta, hanno discusso il problema della “modernità” e dell’attualità della ragion di Stato. In quegli stessi anni, peraltro, Michel Foucault andava sviluppando una propria lettura della ragion di Stato che la riconduceva al tema più generale delle arti del “governo degli uomini” e dei processi di “governamentalizzazione” dello Stato[4]. Un momento di rinnovamento degli studi si è nuovamente avuto agli inizi degli anni Novanta del Novecento, quando, prima in Italia, quindi in molti altri Paesi europei, vi è stato un rilancio degli studi e l’acquisizione di importanti avanzamenti critici. Si vedano a tal proposito, per l’Italia, gli atti dei convegni Botero e la ragion di Stato del 1992, Aristotelismo politico e ragion di Stato del 1995 e La Ragion di Stato dopo Meinecke e Croce curati da Artemio Enzo Baldini, gli atti del convegno Ragion di Stato e ragioni dello Stato (secoli XV-XVII) del 1996 curato da Pierangelo Schiera, e gli atti dal titolo Prudenza civile, bene comune, guerra giusta del 1999 a cura di Gianfranco Borrelli[5]. Forse non a caso dopo il passaggio segnato dall’ ‘89, un ampio numero di studiosi italiani e europei ha raccolto l’eredità della tradizione di studi storico-filologico di studiosi come Rodolfo De Mattei, Luigi Firpo ed ha posto la necessità di allargare lo spettro di indagine delle scritture della ratio status all’intero ambito Europeo e non alla sola cultura “barocca”[6].

Nulla di analogo è accaduto nel pur amplissimo e articolato panorama di studi sulla Chiesa e sullo Stato ecclesiastico in età medievale e moderna. Non mancano certamente gli studi storici e storico-istituzionali dedicato alle esperienze politiche ed ecclesiastiche Romane, così come non mancano studi sui singoli protagonisti o momenti teorici (soprattutto teologici, canonistici e giuridici) della storia della Chiesa cristiana prima, poi Cattolico-romana. A  differenza di quanto accaduto con la ragion di Stato, mancano studi sistematici sull’emergere di una specifica ragione dello “Stato della Chiesa” e, in termini più complessivi, sull’esistenza di una specifica ragione della “Chiesa”[7]. Meno sistematica, in altri termini, è stata l’indagine intorno all’esistenza di un’autonomia riflessione “politica” della Chiesa intesa come un’autorità insieme temporale e spirituale. Se non può puntare a colmare questo vuoto nell’ambito della storia del pensiero politico, questo volume, che raccoglie i contributi di una serie di incontri seminariali tenutisi tra il 2016 e il 2017, vuole almeno mettere a verifica l’utilità di una categoria – quella di “ragion di Chiesa” – che, a differenza di quella di ragion di Stato, non compare in trattati o scritti, se non in maniera episodica. La risposta dei contributori, è, in questo senso, positiva. E si spera che al lettore appaia chiaro quanto questa, se utilizzata nel rispetto di rigidi canoni filologici e storici e nella piena consapevolezza della sua natura essenzialmente storiografica, possa essere comunque utile a indagare gli spazi di prossimità e differenza tra le ragioni dello Stato moderno laicizzato e le ragioni dello Stato ecclesiastico. Non è quindi un caso se questo volume è il primo che si pubblica in una nuova collana di studi e ricerche dal titolo Ragion di Stato e Democrazia. Studi e Ricerche. La collana è associata alle attività del nuovo “Centro di Studi sulla ragion di Stato e la democrazia”, istituto a Napoli e dedito allo studio della ragion di Stato e delle ragioni degli Stati nelle loro direttrici teoriche, storico-politiche e istituzionali[8], nonché nelle loro relazioni con le teorie costituzionalistiche dello Stato, della sovranità e dei sistemi politici democratici. Il centro vuole raccogliere e ravvivare l’eredità dell’Archivio della Ragion di Stato che, tra gli anni ’90 e primi anni del nuovo millennio, ha aggregato, col coordinamento di Gianfranco Borrelli, tanti studiosi di paesi diversi. La convinzione che muove gli studiosi che partecipano al nuovo istituto è che oggi, come ieri, sia necessario interrogarsi sull’esperienza storica e teorica delle Ragion di Stato per porre in risalto, nella cosiddetta globalizzazione, quanto ancora sia attuale l’indagine sulla “ratio” dello Stato o, se si vuole, sulle ragioni che lo fondano, lo giustificano e ne orientano l’azione. Allo stesso modo, è forte il convincimento che non si possa interpretare il presente senza interrogarsi sui pecorsi nuovi delle arti, delle tecniche e delle tecnologie di governo in una cultura politica ormai “digitale”, ipermateriale e mondializzata. In tal senso, la cosiddetta globalizzazione non esaurisce affatto la questione delle implicazioni etiche, giuridiche e normative delle relazioni tra lo Stato democratico e la ragion di Stato perché lo stato non scompare affatto, ma riarticola complessivamente il proprio ruolo e le proprie funzioni. Né il nostro presente mostra di aver “superato” o reso marginali i problemi connessi al disciplinarsi “spirituale” dei soggetti e del darsi di forme di vita politica che ruotano intorno alla dimensione religiosa o confessionale.

Alessandro Arienzo


[1] F. Meinecke, Die Idee der Staatsräson in der neuren Geschichte, Druck und Verlag von R. Oldenbourg, München und Berlin 1925; tr. it. L’idea della ragion di stato nella storia moderna, trad. it. D. Scolari, Sansoni, Firenze 1970.

[2] C.J. Friedrich, Constitutional Reason of State: the Survival of the Constitutional Order, Providence (R.I.) 1957; G.L. Mosse, The Holy Pretence. A Study in Christianity and Reason of State from William Perkins to John Wintrop, Oxford 1957; É. Thuau, Raison d’État et pensée politique à l’époque de Richelieu, Paris 1966; J.A. Maravall, Estado moderno y mentalidad social. Siglos XV a XVII, 2 voll., Madrid 1972 (trad. it., 2 voll., Bologna 1981); L. Firpo, La ragion di Stato. Appunti e testi, Torino 1976; R. De Mattei, Il problema della ‘ragion di Stato’ nell’età della Controriforma, Milano-Napoli 1979.

[3] Staatsräson. Studien zur geschichte eines politischen Begriffs, Referate des internationalen Kolloquiums über die geschichtliche Rolle des Begriffs der Staatsräson, Tübingen von 2. bis 5. April 1974, hrsg. R. Schnür, Berlin 1975.

[4] In particolare in: «Il faut défendre la société»: cours au Collège de France, 1976, éd. M. Bertani, A. Fontana, Paris 1997 (trad. it. Milano 2009) e Sécurité, territoire, population. Cours au Collège de France, 1977-1978, sous la dir. de F. Ewald et A. Fontana, par M. Senellart, Paris, Seuil-Gallimard 2004 (tr. it. Milano, Feltrinelli 2005).

[5] Aristotelismo politico e ragion di Stato, Atti del Convegno internazionale di Torino, 11-13 febbraio 1993, a cura di A.E. Baldini, Firenze 1995; Ragion di Stato e ragioni dello Stato (secoli XV-XVII), Atti del Convegno dell’Istituto per gli studi filosofici e dell’Istituto storico italo-germanico di Trento, 9-10 luglio 1990, a cura di P. Schiera, Napoli 1996; La ragion di Stato dopo Meinecke e Croce: dibattito su recenti pubblicazioni, Atti del Seminario internazionale di Torino, 21-22 ottobre 1994, a cura di A.E. Baldini, Genova 1999; Prudenza civile, bene comune, guerra giusta. Percorsi della ragion di Stato tra Seicento e Settecento, Atti del Convegno internazionale, 22-24 maggio 1996, a cura di G. Borrelli, Napoli 1999.

[6] Per una complessiva ricostruizione dei momenti più importanti della storiografia sulla ragion di Stato, cfr. il saggio di G. Borrelli, Gli studi di Ragion di Stato negli ultimi due decenni del ventesimo secolo: motivazioni e considerazioni critiche, «Politics. Rivista Italiana di Studi Politici», vol.4, n.2, 2015, pp.1-13.

[7] Mi limito a segnalare gli studi di Gigliola Fragnito, “Ragioni dello Stato, ragioni della Chiesa e nepotismo farnesiano: spunti per una ricerca”, in Ragion di Stato e ragioni dello Stato (secoli XV-XVII), op. cit., pp.15-73; Carlo Fantappiè, Il monachesimo moderno tra ragion di Chiesa e ragion di Stato. Il caso toscano (XVI-XIX sec.), Olschki, Firenze 1993; Paolo Prodi, Il sovrano pontefice, Bologna, Il Mulino 1982, e a cura di, Disciplina dell’anima, disciplina del corpo e disciplina della società tra medioevo ed età moderna, Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, Bologna, Il Mulino, 1994; Harro Höpfl, Jesuit Political Thought: The Society of Jesus and the State, c.1540-1630, Cambridge, Cambridge University Press 2004. Per ulteriori e più dettagliati, oltre ai riferimenti presenti nei saggi pubblicati in questo volume, mi permetto di rinviare a A. Arienzo, Percorsi del sacro e del politico nell’Italia di prima età moderna, «California Italian Studies», vol.5, n.1, 2014, pp.431-456.

[8] Le attività del Centro sono rappresentate sul sito www.ragionidellostato.it

Stampa questo articolo Stampa questo articolo