Rovine dell’amicizia. Il progetto incompiuto di Michel Foucault

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Una recensione di Alessio Porrino (Univ. di Salerno) al volume di Lorenzo Petrachi, Rovine dell’amicizia. Il progetto incompiuto di Michel Foucault, Orthotes, Napoli-Salerno 2022, 330p.


            Il pensiero di Michel Foucault si caratterizza per la sua irrequietezza, vale a dire per le sue variazioni, frutto di una costante lavoro sui suoi materiali, sulla propria griglia analitica, sul presente che si trovava a vivere. Non deve quindi stupire se all’interno della sua produzione è possibile ritrovare un certo numero di progetti incompiuti: tra gli altri, una presa in esame della geografia[1], del militare[2], dell’amicizia. A differenza dei primi due, tuttavia, quest’ultima è oggetto di un’analisi meno occasionale, più profonda, dal 1975 spesso presente con regolarità all’interno di quelle linee d’attualizzazione costituite dai suoi interventi, dai suoi articoli e dalle interviste – seppur con modi e contenuti differenti. Il testo di Lorenzo Petrachi prende le mosse esattamente dalla mancanza di una «teoria complessa dell’amicizia» in Foucault non per proporre una sua (impossibile) sistematizzazione, ma per far emergere il più ampio significato etico-politico della sua continua ri-problematizzazione. È questa la posta in gioco di questo libro: riscoprire al di sotto della presunta naturalezza e innocenza dell’amicizia la trama dei rapporti di potere che configurano l’esperienza che facciamo di essa, rendendo così possibile puntare alla sua sovversione tanto in senso individuale, quanto collettivo e politico.

            L’estensione semantica della parola «amicizia», usata per indicare situazioni e comportamenti tra loro diversissimi, rappresenta già una prima ragione per proporre un’analisi come quella contenuta in questo libro. Inoltre, la nozione di amicizia – l’autore è molto attento a ribadirlo – ha una storia, vale a dire che è stata il luogo di una continua messa in questione del suo significato, delle esperienze che ha indotto o descritto, del valore sociale che le viene assegnato. Questo deve quindi metterci in guardia contro la sua ingenua naturalizzazione: si tratta, da storici del presente, di fare dell’amicizia un problema, di ritrovare nell’esperienza storicamente singolare che possiamo farne oggi un prisma che illumina la nostra attualità.

            Il testo inizia con la questione della definizione del concetto di amicizia in Foucault. Esaminare l’amicizia come concetto non può consistere nel tentativo di ritagliarne dei contorni netti e sicuri – come detto, questo nel caso di Foucault sarebbe impossibile. Petrachi propone dunque, sulla scorta di Deleuze e Guattari[3], d’intendere il concetto come qualcosa che assume significato solo interagendo con altri concetti, come una «molteplicità intensiva, una configurazione di componenti eterogenee che non sussiste se non in relazione a un problema» (p. 17). E il concetto di amicizia in Foucault si forma a stretto contatto con la questione del modo di vita gay e dell’omosocialità. L’amicizia tra uomini assume per lui un interesse fondamentale perché potenzialmente etopoietica, vale a dire capace di inventare nuove soggettivazioni e nuove forme relazionali in opposizione a quelle indotte dal modo di produzione eterosessuale e dal dispositivo di sessualità. È evidente a questo punto come l’amicizia per Foucault non rappresenti un ambito che consente una sconnessione dalla società, ma una leva che permette d’innescare un agire politico volto a trasformare le forme relazionali possibili. È per questa ragione che l’obiettivo della lotta per i diritti gay non può limitarsi a richiedere l’accesso alle stesse relazioni canoniche del mondo eterosessuale, ma deve farsi istigatore di un «nuovo diritto relazionale»[4], una vera e propria ricodificazione di ciò che viene riconosciuto come rapporto legittimo e sancito giuridicamente. Si tratta, riprendendo la suggestione di Petrachi, della necessità di «queerizzare il diritto» (p. 64). Le potenzialità creative insite nel modo di vita gay illuminano dunque il significato collettivo e politico dell’amicizia, e questa intersezione tra i due concetti rappresenta senza dubbio l’asse portante della problematizzazione su questo tema tanto per Foucault, quanto per Petrachi.

            La seconda parte del libro è dedicata ad un’analisi genealogica dell’esperienza dell’amicizia. Questa, puntualizza Petrachi, non vuole risolversi in una «storia dell’amicizia», ma consiste in un esame di quella nozione per come viene utilizzata nella quotidianità e in relazione alle pratiche a essa connesse. Qui viene mostrato in che modo è possibile analizzare l’attuale modo di vivere l’amicizia come «una configurazione esperienzale storicamente singolare» (p. 91). Si tratta quindi di rilanciare il progetto foucaultiano di una ontologia critica del presente[5] al fine di mostrarne l’origine contingente, e dunque la sua non-necessarietà, ponendo così allo stesso tempo la possibilità del suo superamento.

            L’intero secondo capitolo è così dedicato alla descrizione del modo col quale Foucault ha posto la questione dell’origine dell’attuale modalità di vivere l’amicizia e dell’omosocialità, evidenziando i punti di torsione che il filosofo ha di volta in volta individuato in epoche diverse e secondo cronologie non immediatamente conciliabili. Da queste pagine si vedono emergere i connotati di una storia puntiforme, attraversata da periodizzazioni differenti e popolata di soggettività e pratiche che mostrano la necessità di articolare la questione dell’omosocialità a partire dalla concreta situazione nella quale essa si muoveva. Dalla vita monacale al wedding amicale, dalla figura del molly a quella del poilu nella sua trincea, vediamo l’affollarsi di esperienze pubbliche, le quali ineriscono a un certo modo di produrre intimità che, seppur coesistendo con la questione dell’omosessualità, non si riduce a questa e anzi l’oltrepassa.

            L’analisi genealogica foucaultiana si concentra poi sulla fondamentale questione della «scomparsa» di questa esperienza. Foucault s’interroga sulle ragioni di quello che appare come un inabissamento delle esperienze e delle riflessioni sull’omosocialità che avevano caratterizzato la cultura europea fino al XVIII secolo, individuando una serie di processi eterogenei che hanno avuto come effetto quello di modificare il nostro approccio all’amicizia. Tra questi, il rinnovato interesse per il decoro sessuale e la sacralità del matrimonio che ha caratterizzato la Riforma e la Controriforma, con conseguente diffusione e approfondimento della pratica della confessione, ha condotto all’intensificazione del controllo disciplinare e dell’individualizzazione, schiacciando sul nascere la possibilità di una sociabilità spontanea e potenzialmente centrifuga. Allo stesso tempo, l’amicizia comincia a imporsi al centro delle riflessioni di filosofi e riformatori in senso virulentemente polemico, essendo essa concorrente dell’ideale di una fraternità repubblicana e pericoloso intermediario privato tra potere statale e cittadinanza. Questi processi vengono a intersecarsi nella statalizzazione del potere pastorale, arte di governo «marcatamente individualizzante» (p. 213) che troverà ampia diffusione a partire dal XVIII secolo: è in questo modo che scompare la valenza pubblica dell’amicizia e che l’amico diventa esclusivamente privato, rifugio dalla pubblicità. L’inabissarsi dell’esperienza pubblica dell’amicizia è dovuto quindi a una modificazione dei rapporti di potere che in sostanza coincide con la nascita della società civile e dello Stato liberale, e se si vorrà sovvertire quest’amicizia, farne rovine, bisognerà sovvertire i modi di produzione che la rendono possibile.

            Il terzo e ultimo capitolo, luogo dell’elaborazione teorica più originale di Petrachi, si concentra proprio su questo: da un lato, esso fornisce una diagnosi dello stato attuale dell’amicizia; dall’altro, invoca il sovvertimento di quest’esperienza in favore di nuove forme relazionali che siano capaci d’istituire un nuovo diritto e nuove soggettività.

            In primo luogo, l’amicizia appare oggi come un «dispositivo residuale» (p. 223), «resto» di dinamiche di riproduzione sociale di cui essa rappresenta il prodotto di scarto e rispetto alle quale svolge una funzione insieme di «conferma, perpetuazione e variazione adattiva» (p. 232): si tratta di un rapporto sociale leggero, per definizione non-serio, che permette una fuoriuscita dal «mondo vero» nei ritagli di tempo lasciati liberi da impegni sociali più pressanti e «seri». Ma non si tratta solo della sua funzione rispetto all’ambito socioeconomico: l’amicizia è «residuo» anche nel senso in cui essa non riveste la stessa importanza dell’amore – verso il quale anzi esso si costituisce per opposizione – o della famiglia, e non riceve quindi alcuna forma di sanzione giuridica o sociale.

            Per analizzare l’emergenza residuale dell’amicizia per come la conosciamo oggi occorre quindi lavorare ai fianchi di problematizzazioni che le ineriscono solo tangenzialmente, ma che condividono la medesima origine in quello che, sulla scorta di Federico Zappino, viene definito modo di produzione eterosessuale, idea secondo la quale l’eterosessualità sarebbe meno un orientamento sessuale che «un modo di produzione dei soggetti e delle relazioni» (p. 235), produttore del binarismo maschile/femminile, del loro valore differenziale e della gerarchizzazione di soggettivazioni e di relazioni[6]. È proprio rispetto a quest’ultimo punto che vediamo congiungersi la lotta per la sovversione dell’eterosessualità e quella per rovinare l’amicizia. Ma non si tratta solo del modo di produzione eterosessuale: l’amicizia assume la sua forma attuale anche in rapporto alla razionalità che soggiace al modo di produzione neoliberale. Sarebbe infatti ingenuo – Foucault lo aveva mostrato[7] – concepire il neoliberismo come puramente interessato all’economia, e quindi come avente un ruolo esclusivamente devastatore rispetto alla naturalezza dell’autentica e disinteressata amicizia. Il neoliberismo infatti non solo devasta, ma produce: produce discorsi, soggettività, relazioni. Petrachi propone quindi di pensare al rapporto tra amicizia e neoliberismo nei termini di una produzione indiretta, di riflesso: l’amicizia rappresenta il «resto» delle dinamiche di riproduzione sociale, un suo prodotto di scarto, spazio residuale concepito per lo svago, per sfogarsi o per assicurarsi forme minime di supporto. In questo senso, la flessibilità e la liquidità del neoliberismo non intaccano l’amicizia, perché è proprio dalla sua razionalità che l’amicizia «viene prodotta come qualcosa che, per sua costruzione, può resistere agli scossoni che la flessibilità e l’imprenditorialità le impongono» (p. 274). L’amicizia non può venir intaccata dalla razionalità neoliberale, quindi, per la semplice ragione che essa ne è il prodotto.

            Diventa quindi necessario lottare contro quest’amicizia, rovinarla per far emergere forme relazionali nuove, smascherare ciò che fa dell’amore una tecnologia di governo dei corpi e dei desideri, individuare nella nostra esperienza quelle relazioni senza forma da valorizzare e di cui – una volta emancipati dalla drammatica dell’amore prodotto eterosessualmente – riscoprire la varietà. L’amicizia per Foucault può essere il luogo di una sperimentazione di forme relazionali che non hanno un copione, le cui pratiche sono tutte da inventare e da negoziare. Si tratta, insomma, di creare nuove forme culturali contro il nostro amore e la nostra amicizia – punto d’intersezione attraverso cui passano e si concretano oppressioni di diversa matrice, tutte da rovinare – di fare una nuovaamicizia intesa come prassi istituente, come continua auto-produzione collettiva di soggettivazioni tramite continua co-produzione di diritto[8]. È questo ciò che vuol essere il libro di Petrachi: una messa fuoco di un problema che stimoli e renda possibile una lotta, strumento un’azione collettiva che permetta di liberarsi dall’ingenuo intimismo con la quale l’amicizia di oggi viene praticata e pensata.


[1] Foucault, M., Questions à Michel Foucault sur la géographie, in Id. Dits et écrits II, Gallimard, Paris 2001, n. ed. 2017, 2 voll., n. 169, p. 40.

[2] Berten, A., Foucault, M., Entretien avec Michel Foucault, in «Les Cahiers du GRIF», n. 37-38, 1988, p. 19.

[3] Deleuze, G., Guattari, F., Che cos’è la filosofia?, Einaudi, Torino 1996, pp. 5-9.

[4] Foucault, M., Il trionfo sociale del piacere sessuale, in Id., Discipline, Poteri, Verità: Detti e scritti 1970-1984, Marietti, Genova-Milano 2008, p. 164.

[5] Id., Il governo di sé e degli altri, Feltrinelli, Milano 2015, n. ed. 2017, p. 30.

[6] Zappino, F., Comunismo queer, Meltemi, Milano 2019, pp. 37-38.

[7] Foucault, M., Nascita della Biopolitica, Feltrinelli, Milano 2005, pp. 66-70.

[8] Dardot, P., Laval, C., Del comune o della rivoluzione nel XXI secolo, DeriveApprodi, Roma 2015, pp. 349-350.

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