Problematizzare l’eredità dell’Illuminismo tra filosofia civile e storia critica

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di Diego Lazzarich e Pietro Sebastianelli

Pubblichiamo con piacere l’introduzione al volume Filosofie civili. Storia, politica e attualità dell’illuminismo, a cura di D. Lazzarich e P. Sebastianelli, (Napoli, Guida, 2022) che arricchisce ulteriormente la nostra collana Filosofia, Innovazione, Democrazia.


I saggi raccolti in questo volume si distendono su una costellazione di temi accomunati da un’esigenza fondamentale: quella di provare a ripercorrere alcuni topoi dell’Illuminismo politico, italiano ed europeo, per individuare temi e percorsi di ricerca capaci di interrogare criticamente il nostro presente. Attraverso un doppio percorso di indagine – uno più storiografico e l’altro più teorico-critico – i contributi si propongono di riflettere sulle eredità (presenti e perdute) dell’Illuminismo politico, nella duplice accezione di una filosofia civile e di una storia critica. Indagare le eredità illuministiche significa primariamente interrogarsi sul compito civile che la filosofia ha assunto nei riguardi della società, vale a dire recuperare e riflettere criticamente sul punto di intreccio tra l’attività speculativa del pensiero – come conoscenza razionale della natura e dell’uomo – e l’impegno, il progetto, l’istanza normativa che legifera – o ha la pretesa di legiferare. Se, infatti, uno degli assi paradigmatici dell’Illuminismo riguarda l’uso critico della ragione, che deve contribuire all’«uscita dell’uomo dallo stato di minorità»[1], le filosofie civili dell’Illuminismo si presentano immediatamente come traduzione di istanze di riforma, di trasformazione profonda del vivere associato, di messa in discussione degli elementi del vivere civile che ostacolano le aspirazioni degli uomini alla libertà e all’autonomia.

Tra le eredità, questa eredità rappresenta uno dei tratti più caratteristici dell’Illuminismo, poiché segna un certo modo di porsi di fronte alla storia, intendendo quest’ultima come problema che il presente pone dinanzi a sé e dietro di sé. L’Illuminismo si presenta, in quest’ottica, come una domanda critica che interroga il passato nell’ottica di chiedere conto e ragione della legittimità del presente, e con la prospettiva di aprire a scenari inediti nel futuro. Se la storia è un’invenzione tutta moderna – come vuole Koselleck[2] – la sua vicenda si presenta a partire dai problemi che il presente sollecita, un presente di cui l’indagine storico-critica pone in questione le continuità e le discontinuità con il passato, in un’attività genealogica che mira a comprendere il modo di costruire noi stessi e le nostre forme del vivere associato nella «contingenza necessaria» in cui ci è toccato in sorte vivere[3]. La storia è – altro aspetto fondamentale della modernità illuministica – la superficie di iscrizione dell’agire umano, che viene svincolata da una dimensione teologica, ma che proprio a partire dalla storia viene reinserita in un orizzonte di senso teleologicamente definito come progresso.

I saggi raccolti in questo volume non si pongono l’obiettivo di offrire indirizzi ermeneutici o storiografici con pretesa di esaustività – ovviamente –, ma propongono ricognizioni, anzi, incursioni su aspetti e temi specifici capaci di evidenziare tracce di continuità tra le filosofie civili illuministiche e il presente. L’insieme dei contributi raccolti, quindi, non ha nessuna aspirazione all’esaustività, ma piuttosto punta, attraverso la sensibilità degli autori, a dare spazio a frammenti che, pur nella loro pluralità, si pongono tutti l’obiettivo di individuare genealogie, o, detto altrimenti, di richiamare l’attenzione su tracce dei Lumi ancora ‘accese’ nel presente o da riscoprire. 

Del resto, ogni pretesa di tracciare con esaustività le eredità dell’Illuminismo non potrebbe che essere votata al fallimento, non solo per l’estensione dell’oggetto indagato, ma anche per la difficoltà stessa di ricorrere a questa parola declinandola al singolare. L’Illuminismo europeo è infatti caratterizzato da una pluralità di indirizzi, tendenze, atteggiamenti e visioni del mondo, le cui ramificazioni sono talmente rizomatiche che ogni prospettiva globale non può che apparire, ad uno sguardo storico-critico attento, riduzionistica[4]. Inoltre, quando si parla di Illuminismo europeo, bisogna necessariamente prestare una grande attenzione alle diverse declinazioni geografiche, che assumono anche dimensioni temporali diverse e non necessariamente allineate. Se quindi l’Illuminismo è certamente uno dei momenti fondanti della modernità politica, esso è tuttavia irriducibile ad ogni inquadramento unidirezionale. Si potrebbe dire, parafrasando D’Alembert, che l’Illuminismo si presenta non come una filosofia compiuta dotata di coerenza e rigore tematico, ma come un’epoca della filosofia civile, che si identifica con «un fermento degli spiriti», con un movimento del pensiero che agisce in tutte le direzioni del vivere civile, «come un torrente che rompa gli argini». Poiché «dai princìpi della scienza ai fondamenti della religione rivelata, dai problemi della metafisica a quelli del gusto, dalla musica alla morale, dalle controversie teologiche alle questioni dell’economia e del commercio, dalla politica al diritto dei popoli e alla giurisprudenza civile, tutto fu discusso, analizzato, agitato»[5].

Ecco perché il termine filosofia civile deve essere preso alla lettera: non una specifica filosofia, ma una tendenza, un atteggiamento, quasi un ethos – per dirla con Foucault – che investe ogni campo della vita e dell’esperienza umana e che implica fermento, movimento, trasformazione, problematizzazione e rottura con un passato identificato con un’eredità senza trauma, con una linearità senza sconvolgimenti, come una continuità priva di densità polemica. La ragione, che nell’Illuminismo si propone come guida della conoscenza, si pone dunque come avamposto della trasformazione in ogni campo della vita sociale: trasformazione che investe, in modo particolare, i saperi e il loro rapporto con la vita degli uomini. In questo senso, la storia si presenta non solo come progresso civile, ma come problema, come potenzialità di una rottura rispetto a ciò che si è. Certo, il passato viene considerato dagli illuministi come errore, pregiudizio, prevaricazione, dominio irrazionale ed è quindi in parte oggetto di rifiuto: ma si tratta comunque di un rifiuto creativo, da cui la dimensione storica della realtà e della sua indagine emergono come compiti fondamentali della cultura e dei saperi che proprio dall’eredità illuministica procedono fino ai giorni nostri. La moderna storiografia, infatti, trova qui uno dei suoi momenti di nascita più fervidi, quando l’interesse della conoscenza storica si concentra su quei fattori permanenti e collettivi di una società (i costumi, le forme di civiltà, i sistemi tecnico-scientifici) che ne condizionano in profondità il modo di essere, anziché limitarsi alle storie dinastiche e alle vicende diplomatico-militari che animavano le res gestae o la historia rerum gestarum del passato. Non il passato, dunque, è oggetto di demolizione, ma la tradizione, ovvero quel suo fondamento di legittimità che pretende di prolungarsi fin dentro il presente per oscurarne le potenzialità. Se esiste, dunque, una “storiografia illuministica” essa coincide con la tendenza a valutare il passato sulla base delle istanze del presente, che si inserisce sì all’interno del mito di una storia universale, ma dal punto di vista del progresso umano e civile che si intende perseguire.

Il nesso che articola l’istanza civile della filosofia illuministica e il problema della storia è certamente rappresentato dalla critica. La critica è infatti un certo tipo di atteggiamento nei riguardi del presente, prima ancora di un metodo rigoroso di conoscenza della realtà. «Il nostro tempo è proprio il tempo della critica, cui tutto deve sottostare. Vi si vogliono comunemente sottrarre la religione per la santità sua e la legislazione per la sua maestà: ma così esse lasciano adito a giusti sospetti, e non possono pretendere quella stima che la ragione concede solo a ciò che ha saputo resistere al suo pubblico esame»[6]. Così scriverà Kant alla fine del ‘700, nella sua Critica della ragion pura. La critica illuministica si estende a ogni sfera del vivere civile, alle istituzioni, ai costumi e ai valori sociali, e non mancherà di suscitare essa stessa reazioni e dissenso. Tuttavia, è proprio a partire da questo atteggiamento critico nei riguardi del presente che germoglia il discorso politico dell’Illuminismo. È qui che la critica si fa pensiero politico, impegno alla riforma e alla trasformazione: che vuol dire sostanzialmente, per gli illuministi, alla razionalizzazione della realtà sociale e politica. La critica illuministica investe quindi la dimensione del potere politico, aprendo ad una duplice problematizzazione: quella del rapporto tra gli intellettuali e il potere politico e quello dello spazio proprio della riforma della società e della formazione del cittadino. Se la critica è innanzitutto una certa disposizione tra filosofia civile e storia, il problema della politica dell’Illuminismo si pone come nodo del rapporto con la Rivoluzione francese. A quanto la seconda sia debitrice del primo, ma non solo. Un versante specifico è rappresentato dall’istanza riformistica che investe le monarchie assolute nel disegno del dispotismo illuminato, che problematizza il ruolo degli intellettuali come figure di spicco e come mediatori tra la verità e il potere da una parte, e tra la società e lo Stato dall’altra (si pensi alla nascita dell’opinione pubblica e della società civile). Da qui l’idea che la crisi costituisca la modalità permanente che articola il nesso tra critica e pensiero politico.

Di questo insieme di problemi e di campi di indagine, a cui in questa sede si può solo accennare, i saggi raccolti in questo volume non intendono dare, come già detto, una descrizione esaustiva, ma illustrare alcuni aspetti particolari, pur muovendo in due direzioni diverse e allo stesso tempo complementari: da una parte, l’immersione nel periodo illuministico per recuperare quei percorsi tematici ritenuti dagli autori particolarmente meritevoli di essere ripresi e analizzati all’interno di una ricerca sulle filosofie civili; dall’altra, l’analisi del presente per rinvenire tracce e frammenti dell’Illuminismo, così da interrogarsi su continuità, discontinuità e riflessi. Al primo approccio appartengono i contributi di Diego Lazzarich, Giovan Giuseppe Monti e Giuseppe Perconte Licatese; al secondo i saggi di Pierluigi Ametrano, Alessandro Arienzo e Pietro Sebastianelli. In ogni caso, sia per l’approccio da «pescatori di perle», che si gettano in mare per sondare la ricchezza degli abissi[7], sia per l’approccio critico orientato al presente, in entrambi i casi l’intento è di riflettere sulle filosofie civili illuministiche e sul loro potenziale contributo al vivere civile.

Nel saggio di Diego Lazzarich, che si concentra sulla figura di Gaetano Filangieri, si indaga il rapporto tra tradizione e innovazione nel discorso politico del giurista e filosofo napoletano a partire dalla categoria politica della gratitudine. Categoria politica la cui storia semantica rimanda ai vincoli che legano benefattore e beneficato in un rapporto di potere le cui implicazioni – per un secolo che intendeva sciogliere i vincoli di dipendenza personali a favore dell’affermazione del carattere astratto e impersonale della legge – appaiono già da un primo approccio evidenti. Eppure, come sostiene Lazzarich, Filangieri si misura con gli effetti e con i pericoli che l’esercizio della gratitudine può comportare per la stabilità del governo misto. Attraverso la formulazione di una teoria della gratitudine pubblica, il giurista napoletano afferma l’importanza di riconoscere benefici pubblici ai cittadini, non a partire dalla discrezionalità patriarcale del sovrano che elargisce prebende nell’ottica di creare dipendenza e asservimento, ma sulla base di una decisione dell’assemblea legislativa che giudichi i meriti avendo come riferimento il bene della patria. Per Filangieri, dunque, un governo misto sano necessita di superare quel residuo di paradigma politico di gratitudine di stampo assolutistico, dove il Re, incarnando la figura del grande sovrano-benefattore, può, con il suo infinito potere di gratia, concedere illimitatamente ai sudditi, determinando le geometrie del potere nella società e nelle istituzioni.

Sulle vicende della repubblica napoletana del 1799 si concentra invece il saggio di Giovan Giuseppe Monti, ponendo la propria attenzione su quel particolare genere della trattatistica politica del tempo che è noto come catechismi repubblicani. Tra questi, il Catechismo repubblicano in sei Trattenimenti a forma di dialoghi di Francesco Antonio Astore testimonia, secondo Monti, dell’importanza di questo strumento divulgativo nella formazione del cittadino repubblicano. Anche qui, l’elemento critico si rivolge verso un tradizionale strumento dell’evangelizzazione cattolica che viene rifunzionalizzato nell’ottica del compito civile della filosofia: non più per formare «il buon cristiano» ma «il buon cittadino»; non più per convertire «alle verità della religione» ma «alle verità repubblicane».

La reazione ottocentesca alle filosofie civili illuministiche è oggetto del saggio di Giuseppe Perconte Licatese, che si concentra sui Dialoghetti sulle materie correnti nell’anno 1831 di Monaldo Leopardi. Il testo monaldiano testimonia una vera e proprio controffensiva ideologica nei confronti del repubblicanesimo, del liberalismo e del nazionalismo all’origine dei moti rivoluzionari che attraversavano l’Italia preunitaria e l’Europa della Restaurazione. In particolare, spicca nella riflessione di Monaldo Leopardi non solo la critica verso gli astratti principi illuministici identificati con la politica della rivoluzione, ma anche la necessità di un ritorno – non privo di una certa originalità – ad una dottrina della monarchia di diritto divino, incentrata sull’analogia tra il re e il padre di famiglia. Viene qui minata alle radici la stessa legittimità del nesso di critica e rivoluzione, che testimonia della poliedrica e creativa modalità della reazione al secolo dei Lumi.

Con il saggio di Pietro Sebastianelli si apre invece la parte del volume più direttamente legata al problema dell’eredità dell’Illuminismo nel suo rapporto con la storia intesa come critica del presente. Avvalendosi della lettura e del confronto tra Jürgen Habermas, Reinhart Koselleck e Michel Foucault, il contributo di Sebastianelli tenta di mettere in evidenza l’eredità dell’Illuminismo attraverso tre scansioni problematiche: critica, forme di vita e storia sono infatti i tre assi scelti dall’autore per interrogare se e in che termini il nostro presente – ovvero la nostra esperienza del tempo e l’apparato concettuale storico-politico che la sostiene – è ancora legato all’Illuminismo. Obiettivo del saggio è quello di descrivere a quali condizioni e seguendo quale ordine di problemi sia possibile, oggi, praticare una storia del pensiero politico intesa come impegno critico nei riguardi del presente.

In che modo l’eredità dell’Illuminismo, inteso come esercizio di una ragione critica che mira a far uscire l’uomo da uno stato di minorità, sia oggi seriamente messa a repentaglio dalle nuove tecnologie algoritmiche del quantified self è oggetto del saggio di Pierluigi Ametrano. L’autore riflette con acume critico sul rapporto tra autonomia dei soggetti e nuove forme di assoggettamento all’interno di uno scenario tecnologico – qual è l’attuale – profondamente condizionato dai nuovi dispositivi del web e in cui i big data governano sempre più le nostre esistenze. Oggi, i soggetti hanno delegato molti dei loro compiti e delle loro azioni alla potenza del calcolo informatico, lasciando in molti casi alle applicazioni il potere di prescrivere il corretto stile di vita. Se è vero che la potenza delle moderne tecnologie informatiche ha accresciuto profondamente la pervasività delle pratiche di potere sui corpi dettando modelli e regole di vita, allora è lecito domandarsi se non è forse vero che questa condizione mette in crisi alla radice l’istanza kantiana, che vede nell’esercizio autonomo dell’intelletto uno dei fattori fondamentali di emancipazione dell’uomo, e con essa un intero paradigma illuministico a cui si ispirano storicamente le cosiddette filosofie civili moderne. Chiude il volume la riflessione di Alessandro Arienzo, il cui contributo taglia trasversalmente l’insieme dei temi affrontati nel presente volume. A partire dal nodo stringente che lega l’esercizio dell’attività critica degli intellettuali – e in generale il sapere – ai diversi dispositivi di potere che mirano all’assoggettamento, l’autore concentra la propria attenzione sulla “crisi della critica”, che si apre a partire dalla seconda metà del Novecento. Il saggio di Arienzo prova dunque a riflettere sulle condizioni di esercizio di una nuova attitudine critica ai giorni nostri, che muova dal riconoscimento delle insidie che si celano negli esiti dei processi di razionalizzazione della modernità. Tali insidie coincidono con i nuovi assetti sociali del capitalismo, che ha sussunto le istanze di libertà all’interno di un circolo vizioso tra godimento smisurato dell’accumulazione senza limiti e nuove richieste di protezione e sicurezza. Analizzando la crisi e la dissoluzione delle promesse liberatorie della modernità nella seconda metà del Novecento, il saggio di Arienzo chiude il volume con un’indicazione, che è insieme un invito, a investire nuovi campi di conoscenze e nuove pratiche di libertà, attraverso un recupero delle originarie tensioni emancipatorie dell’Illuminismo che aprano, però, la via a un ‘nuovo Illuminismo’, oggi più che mai necessario.


[1] I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, in Id., Scritti di filosofia politica, a cura di Dario Faucci, La Nuova Italia, Firenze, 1994, pp. 25-37, p. 25.

[2] L’ingresso nella modernità illuministica segna, per Koselleck, la fine delle “storie” al plurale della tradizione antica e la formazione del singolare collettivo della “storia” moderna, attraverso il quale essa diventa soggetto e oggetto di se stessa. Cfr. R. Koselleck, Storia. La formazione moderna del concetto, Bologna, Clued, 2009.

[3] Cfr. C. Galli, Contingenza e necessità nella ragione politica moderna, Laterza, Roma-Bari, 2009.

[4] Cfr. K. Pomian, Illuminismo e illuminismi, in «Rivista di filosofia», n. 1, aprile 2005, pp. 13-32.

[5] J.B. D’Alembert, Saggio sugli elementi della filosofia (1759), cit. in E. Cassirer, La filosofia dell’Illuminismo, La Nuova Italia, Firenze, 1975, pp. 19-20.

[6] I. Kant, Critica della ragion pura, vol. 1, Laterza, Roma-Bari, 1959, p. 7.

[7] Si mutua qui la suggestiva immagine evocata da Hannah Arendt per descrivere il pensiero di Walter Benjamin. Cfr. H. Arendt, Il pescatore di perle: Walter Benjamin (1892-1940), Se, Milano, 2004, pp. 78-79.

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