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Lorenzino e l’Apologia del tirannicidio

Tema classico, che accompagna l’esperienza e la riflessione politica fin dall’antichità, il tirannicidio è al centro del saggio curato da Vincenzo Gueglio, dedicato alla figura di Lorenzino de’ Medici e alla sua Apologia del tirannicidio compiuto nella notte dell’Epifania del 1537 ai danni del duca di Firenze, Alessandro de’ Medici (V. Gueglio, Lorenzino e l’Apologia del tirannicidio, Gammarò, 2021).

Tema classico – si diceva – che affonda le proprie radici nell’Atene democratica del VI secolo, quando la tirannia assunse il significato di una forma corrotta di esercizio del potere, esercitato in nome dell’utile del governante, e il tirannicidio veniva ad indicare il gesto estremo di rottura di tale ordine, volto a configurare un nuovo equilibrio negli assetti di potere. Da allora, il tirannicidio – il problema del tiranno, della sua legittimità e dell’eventuale resistenza al suo potere – non ha smesso di condizionare la riflessione politica, da Platone al giusnaturalismo moderno, intorno alla questione della liceità della deposizione violenta di un governante usurpatore.

Il saggio curato da Gueglio riporta l’attenzione sulla figura di Lorenzino de’ Medici, nel contesto del tardo Rinascimento italiano, in quella Firenze degli anni ’30 del XVI secolo attraversata dai conflitti tra le tendenze centralizzatrici del principato e le diffuse resistenze repubblicane, tra le pratiche di ragion di stato e le libertà del vivere politico. Figura controversa nella storia del pensiero politico, quella di Lorenzino è una vicenda che ha attraversato i secoli, dividendo le opposte fazioni dei suoi avversari e dei suoi sostenitori. Discendente del ramo cadetto della famiglia Medici (detto anche Lorenzaccio, per via delle sue esuberanti imprese giovanili – a Roma, alla corte di Clemente VII, aveva decapitato alcune statue di imperatori romani), si era stabilito a Firenze sotto la protezione del duca Alessandro, che truciderà con l’aiuto di un sicario dopo averlo attirato in una trappola. Il volume curato da Vincenzo Gueglio raccoglie alcune delle principali testimonianze sulla vicenda del tirannicidio compiuto da Lorenzino, che ha ispirato pregevoli riflessioni e ha diviso i suoi commentatori nel corso dei secoli. Di questo intenso dibattito l’autore dà conto grazie ad una fine opera di ricostruzione storiografica delle principali testimonianze storico-letterarie, che si sono succedute nei secoli dividendosi sul giudizio politico da attribuire al suo gesto. Vendetta privata – Alessandro aveva infatti favorito ai suoi danni Cosimo (il futuro Cosimo I) in una lite per questioni di eredità – o atto politico doveroso per un fervente repubblicano, la figura di Lorenzino ha diviso storici e letterati, figurando come fulgido esempio delle contraddizioni e dei conflitti del suo tempo.

Il volume – introdotto dal bel saggio di Francesca Russo (In morte del tiranno. Lorenzino dei Medici, da “Bruto toscano” a “Bruto italiano”, pp. 11-50), fine studiosa che al “Bruto fiorentino” ha dedicato alcuni dei suoi lavori (tra cui si segnala Bruto a Firenze. Mito, immagine, personaggio, 2008) – oltre a riportare il testo dell’Apologia scritta di proprio pugno dall’autore del tirannicidio per offrire all’«impassibile tribunale dei posteri» e ai propri contemporanei le ragioni del suo gesto, riporta documenti e testimonianze sull’evento, redatte da contemporanei e intellettuali di epoche successive e di diversa estrazione culturale, politica e ideologica. Il materiale raccolto – dalla riscoperta risorgimentale del “Bruto toscano” operata nel contesto ottocentesco italiano (da Giordani a Leopardi) fino ai giudizi dei contemporanei, alle opere di letterati e intellettuali che all’Apologia e al gesto di Lorenzino hanno dedicato, a vario titolo, la propria attenzione – è davvero una pregevole selezione e contribuisce a gettare una luce su un evento divisivo, che aveva lacerato la coscienza politica del tempo, tra repubblicani e sostenitori dei principati e che sembra non aver cessato nel corso dei secoli – nonostante il suo temporaneo oblio – di perturbare la coscienza civile del nostro paese.

Proprio i diversi atteggiamenti di fronte al tirannicidio – tra ripulsa e condanna ed esaltazione e legittimazione – che vengono in evidenza nell’antologia curata da Gueglio consentono di situare il carattere storicamente rilevante dell’evento, oltre che l’importanza storiografica della auto-narrazione da parte del suo autore, non a caso definita da Leopardi un capolavoro dell’eloquenza italiana. Descritto ora come un vanesio incline a gesti eclatanti, ora come un fervente repubblicano; ora come un «malinconico» o come un freddo esecutore dei consigli machiavelliani in materia di congiure, Lorenzino è l’emblema dei tempi, dilaniati da profonde trasformazioni che investono in modo irreversibile le repubbliche italiane, ormai definitivamente incamminate sulla strada del consolidamento dei principati. Proprio Cosimo I, infatti, che in seguito all’uccisione di Alessandro gli succede nella guida di Firenze, diventerà il primo Granduca di Toscana, segno inequivocabile di un’epoca repubblicana ormai definitivamente trascorsa. Il “Bruto toscano” e la sua Apologia, emblema e simbolo durante il Risorgimento del gesto eroico di resistenza alla tirannia asburgica, soprattutto grazie alla riscoperta da parte di Pietro Giordani e al rilievo conferitogli da Giacomo Leopardi, viene destinato a secoli di oblio fino a quando la sua opera non viene pubblicata a Leida nel 1723 (insieme alle Istorie della repubblica fiorentina di Benedetto Varchi). Tirannicida letterato, congiurato ispirato da Machiavelli (e di questi attento lettore), traditore o fine attivista politico, l’immagine di Lorenzino ci viene restituita in tutta la sua ambiguità da un variegato caleidoscopio di testimonianze storiografiche, tra cui spicca la presentazione offerta da Giuseppe Lisio nell’edizione da lui curata dell’Apologia nel 1897. Fervente repubblicano, abile dissimulatore che era riuscito ad entrare nelle grazie del duca al fine di cogliere l’attimo giusto per compiere il suo estremo gesto, la figura di Lorenzino ci viene dunque restituita come emblematica delle tensioni e dei conflitti che attraversavano la vicenda politica fiorentina di quegli anni, tra restaurazione medicea e resistenze repubblicane.

Naturalmente, uno dei fuochi principali del lavoro di ricostruzione storiografica – come non manca di notare Francesca Russo nel suo saggio introduttivo – è rappresentato proprio dal testo dell’Apologia, nel quale l’autore fa i conti con il tentativo di spiegare le ragioni del suo gesto e di illustrare con acume il campo strategico di tensioni che lo attraversava e nel quale esso andava a situarsi. Insomma di definire la congiuntura specifica, lo spettro delle forze in campo, le premesse e le conseguenze che accompagnano e fanno maturare il tirannicidio: la capitolazione della repubblica fiorentina dopo l’assedio del 1530, l’accordo tra Clemente VII e l’imperatore Carlo V per riportare un Medici alla guida della città, l’individuazione di Alessandro come di colui che avrebbe dovuto completare il processo di transizione dalla vecchia forma repubblicana al nuovo ordine principesco.

La vicenda editoriale del testo è ben ricostruita nelle note dell’autore: ciò che giova qui evidenziare è l’acuta consapevolezza che guida l’analisi strategica che Lorenzino consegna alla posterità attraverso la sua Apologia, che ne fa un testo non solo autobiografico, ma anche di grande valore analitico sul piano storico-politico. Usurpatore ex defectu tituli, non essendo Alessandro a parere di Lorenzino un Medici, e non avendo l’imperatore alcun titolo per la sua investitura; tiranno ex parte exercitii, avendo fatto abuso del proprio potere per delegittimare le istituzioni repubblicane a proprio vantaggio, Lorenzino si difende così dall’accusa di essere un traditore, in quanto uccisore di un suo parente prossimo. Egli situa la sua azione nell’ambito dei doveri che spettano ad ogni repubblicano nella difesa del vivere libero e politico, messo a rischio dalla degenerazione tirannica dell’esercizio del potere a Firenze: «S’io avessi a giustificar le mie azioni appresso di coloro che non sanno che cosa sia libertà o tirannide, io mi ingenierei di dimostrare e provare con ragioni (che molte ce ne sono) come gl’uomini non debbono desiderar cosa più del viver politico, e in libertà per consiquenzia: trovandosi la politia più rara e manco durabile in ogni altra sorte di governo che nella republica” (p. 87). Segretezza e risolutezza costituiscono i mezzi fondamentali della sua azione, ben congegnata nelle sue premesse, ma sfortunata quanto ai suoi esiti. Solitaria per necessità, quella del tirannicidio è un’azione individuale, che tuttavia avrebbe dovuto imprimere una svolta nei rapporti di forza della situazione fiorentina del tempo, sollecitando ex post l’intervento armato da parte degli esuli repubblicani fuoriusciti in seguito alla restaurazione medicea del 1530. Consapevole dell’impossibilità che un gesto solitario potesse sovvertire le sorti della repubblica fiorentina («una impresa la quale io non poteva condur solo»), Lorenzino confessa di aver confidato nell’aiuto successivo dei fuoriusciti repubblicani (primo fra tutti Filippo Strozzi, presso il quale egli dovette in un primo momento rifugiarsi, senza tuttavia riuscire a convincerlo) e di aver invece avuto la consapevolezza circa l’impossibilità di confidare su forze interne («bisognandomi adunque domandare aiuto, non potev’io più convenientemente sperare in quegli di fuora che in que’ di dentro? Avendo visto con quanto ardore e con quant’animo lor cercavano di riaver la lor libertà, e per il contrario con quanta pazienza e viltà quegli che erono in Firenze sopportavano la servitú; e sapendo che gli eron parte di quegli che nel ’30 si eron trovati a difender cosí virtuosamente la lor libertà, e che l’eron fuorusciti voluntarî: donde si poteva più sperare in lor che in quegli di dentro»). Al loro mancato intervento, alla codardia e alla mancata risolutezza dei fuoriusciti ed esuli repubblicani, Lorenzino attribuisce il fallimento della sua impresa.

Seguono l’Apologia, una serie di appendici, tra cui la Lettera a Francesco di Raffaello de’ Medici, in cui vengono annunciati dall’autore i temi dell’Apologia e in cui ancora non traspare la consapevolezza circa il fallimento dell’impresa, i racconti dedicati all’«ammazzamento di Alessandro» da parte di intellettuali e letterati coevi e successivi (come La notte destinata dai Fati di Benedetto Varchi) e un’interessante sezione dedicata alla descrizione dell’assassinio di Lorenzino ad opera dei sicari di Cosimo I e di Carlo V, avvenuto a Venezia, dove il tirannicida si era rifugiato (di Francesco Bibboni, uno dei due sicari, Gueglio riporta il testo autografo Come ho ucciso Lorenzino, racconto di prima mano offerto dall’uccisore al Duca Cosimo I). Chiudono l’antologia alcune raccolte di versi ispirate al personaggio e alla sua impresa, oltre che all’influenza che questa ha avuto sull’arte, sul cinema e sulla letteratura contemporanei.