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Sul carteggio tra Werner Kaegi e Delio Cantimori (1935 – 1966)

Animus comune. Sul carteggio tra Werner Kaegi e Delio Cantimori. 1935-1966 (SNS ed., Pisa, 2020) di Patricia Chiantera-Stutte offre un’accurata testimonianza del carteggio intercorso tra Kaegi e Cantimori, due personalità diverse ma accomunate da un comune valore: lo studio e la ricerca storiografica intesi come un’attività educativa, morale e politica.

Werner Kaegi e Delio Cantimori sono due studiosi del Rinascimento, l’uno svizzero e l’altro italiano, che, nel corso del loro carteggio durato trent’anni, disegnano un nuovo approccio al concetto di Rinascimento: un’unità plurale di ideali umanisti che è la base del confronto religioso e intellettuale per gli studiosi dell’epoca, ma, allo stesso tempo, costituisce anche un ambiente cosmopolita legato da temi e valori condivisi. Intellettuale e società è la chiave di lettura dell’intenso scambio dialogico tra i due storici.

Werner Kaegi è professore di Storia Universale all’Historisches Seminar di Basilea, la sua biografia di Burckhardt non è solo una ricostruzione della vita dell’autore, ma è soprattutto la narrazione di un mondo complesso quale era il Rinascimento, cioè un’epoca piena di conflitti e di relazioni politiche, che hanno contrassegnato profondamente quest’epoca di transizione. Kaegi è un liberale conservatore, che crede molto nella missione formatrice della cultura per l’educazione intellettuale della futura élites dirigente. 

Delio Cantimori è professore di Storia Moderna prima all’Università di Messina e poi successivamente alla Normale di Pisa; è uno studioso degli eretici da una prospettiva peculiare, ovvero da un punto di vista dei rapporti e delle vicende intellettuali dei protagonisti dell’eresia. La sua formazione politica è mazziniana, e ha creduto nell’illusione riformatrice del regime fascista, che potesse cancellare la distanza e le differenze tra élites e masse popolari. 

Nel corso del loro dialogo epistolare, i due studiosi convergono nella messa in discussione della rigida divisione dell’epoca rinascimentale e approdano a un concetto di Umanesimo inteso come valore, perché aggiunge una finalità etica al ruolo della ricerca. Quel che emerge dalle lettere, soprattutto fino al 1955, è la ricostruzione del concetto di Rinascimento, che, secondo i nostri autori, non può avere una periodizzazione rigida. Una critica che ricostruisce il periodo rinascimentale attraverso le vicende personali e gli intrecci biografici dei protagonisti dell’epoca. Nel caso di Kaegi, ci si sofferma sul percorso dei riformatori e si contestualizza la loro formazione con gli ambiti geografici e intellettuali, mentre, per Cantimori, si sottolineano le relazioni fra gli eretici in chiave di storia delle idee. Quel che emerge da questa ricognizione critica è una nozione regolativa dell’Umanesimo, cioè da intendersi come uno sforzo che guida la «ricerca del vero accertato criticamente», e per questo assume una valenza etica, giacché diviene un impegno per l’intellettuale nel suo agire pratico, cioè nella sua vita politica. 

La vita di Cantimori è la testimonianza di questa affermazione teorica, infatti vive in prima persona il travaglio politico del dopoguerra, ed è pienamente impegnato per il rinnovamento culturale e politico della società. Per questo si iscrive al Partito comunista, e adotterà il marxismo come metodo storiografico di indagine. In questi anni, è soprattutto il pensiero di Gramsci a guidare l’agire politico di Cantimori. Gramsci è una figura che afferma la responsabilità dell’intellettuale di criticare il progetto politico, ed è il motivo per cui Cantimori abbandona il partito nel 1957, quando avverte il venir meno l’esigenza di un equilibrio tra l’indipendenza dell’intellettuale e l’osservanza delle linee politiche e culturali. 

Dal canto suo, Kaegi resta un liberale conservatore, e non si avvicina mai alle idee marxiste, non ha un ruolo politico attivo, sebbene mostri chiaramente un’avversione alla civiltà materiale e capitalista del suo tempo. Eppure, la sua rinuncia ad una politica militante si trasforma in una decisa trasmissione dei valori umanistici. Nelle proprie lettere Cantimori sottolinea più volte come l’opera di Kaegi su Burckhardt abbia un valore etico fortissimo, perché non è solo una ricostruzione storiografica, ma, piuttosto, il tentativo ideale per la trasmissione della cultura.

L’Umanesimo come valore è il tratto distintivo che riecheggia all’interno dello scambio tra questi due pensatori, un concetto che è anche uno strumento interpretativo, giacché le idee e i valori di quel periodo costituiscono la sola possibilità per cancellare la mancanza di chiarezza negli studi, per oltrepassare la pericolosità delle generalizzazioni e la semplicità dei giudizi. 

Una preoccupazione che emerge chiaramente non solo come compito storiografico ma come obiettivo politico, pedagogico ed etico. È in questo modo che la ricerca assume una prospettiva etica, è in questo modo che avviene la fusione tra i doveri del ricercatore e i doveri del cittadino. 

Merito della curatrice Patricia Chiantera-Stutte è la ricostruzione puntuale di questo carteggio, perché restituisce lo spirito di un’epoca, quella tra la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra, ma anche i contesti intellettuali e sociali in cui i due studiosi si formano e, soprattutto, le preoccupazioni individuali prima e come intellettuali poi di due persone diverse ma legate da una sensibilità comune, il ruolo sociale del ricercatore e dello studioso.