Attraverso lo schermo

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(di Pierluigi Ametrano). Tik Tok@ è un’app molto diffusa, soprattutto nella fascia di età tra i 13 e i 15 anni. È una tecnologia molto semplice, permette di caricare, ma, soprattutto, di produrre dei video, semplicemente ponendosi di fronte al proprio smartphone e impostando la musica come sottofondo della propria performance canora, atletica o di altro genere. In poco tempo, l’applicazione è divenuta un network sociale, ed è utilizzata maggiormente per sfide tra utenti, challenge, ovvero delle competizioni che hanno un tema fisso, come ad esempio una canzone.

Questa nuova applicazione consente di analizzare una delle caratteristiche principali dei dispositivi tecnologici, ovvero il loro porsi come lente, attraverso cui ogni singolarità vede prima se stessa, quindi gli altri e infine la realtà. È uno stadio necessario nei processi di soggettivazione, «per acquistare auto-identità, il soggetto deve identificarsi con l’altro immaginario, deve alienare se stesso, deve cioè porre la propria identità al di fuori di se stesso, per così dire, nell’immagine del suo doppio»1, solo che nell’iper-modernità avviene tramite il display di un telefonino. In effetti l’immagine che ritorna al singolo è diversa e falsata, nei colori e nelle forme, soprattutto perché le tecnologie digitali intervengono a modificarla in modo automatico e talvolta inconsapevole.

I device informatici sono divenuti così i filtri attraverso i quali i soggetti ricevono e si espongono alla realtà, tanto che lo smartphone assume la veste del fantasma, cioè una funzione immaginaria e simbolica che difende dall’avversità della reale: «l’interposizione di un quadro fantasmatico attraverso cui il soggetto prende le distanze dal Reale, [è] costitutiva del nostro “senso di realtà”. La “realtà” esiste nella misura in cui non è (non diventa) troppo vicina»2. Il dispositivo tecnologico è un quadro fantasmatico che è schermo, perché protegge dal reale, ma è al contempo finestra, perché ci connette agli altri soggetti della rete.

Quel che appare subito è che l’applicazione è l’orizzonte di possibilità in cui le singolarità sperimentano se stesse, ma in un ambiente distorto, perché video e foto possono subire un’elaborazione informatica, che muta radicalmente l’immagine soggettiva, ecco che il singolo si trasforma in un oggetto sublime, «un oggetto a cui non ci si può accostare senza che esso perda le sue caratteristiche sublimi e si trasformi in un volgare oggetto comune; esso può persistere solo in un interspazio, in uno stadio intermedio, osservabile da una precisa prospettiva, intravisto»3.

Si assiste così a una mutazione, in cui le soggettività divengono oggetto, ma oggetto da guardare, e soprattutto il corpo è maggiormente esposto allo sguardo, sia proprio che dell’altro, «l’immagine del corpo, il corpo in quanto supportato dalla rappresentazione, è oggetto di contemplazione, fonte eminente di un compiacimento estremo dove si denota precisamente che il godimento si trova proprio lì»4.

La modernità informatica comporta l’assunzione di un nuovo paradigma: il godimento si sostituisce al desiderio e una differente meccanica pulsionale si impone all’interno dei processi di soggettivazione. Le tecnologie digitali con la loro struttura invogliano, o meglio sostengono, un appagamento immediato e continuato, in contrasto con la dinamica del desiderio che strutturalmente non è appagata. Il desiderio è una tensione libera, proprio perché svincolata da qualsiasi forma oggettuale, la meccanica desiderante «è ribelle a ogni riduzione a un bisogno, perché in realtà non soddisfa nient’altro che se stesso, cioè il desiderio come condizione assoluta»5.

Al contrario il godimento è legato a un oggetto, che però non soddisfa mai la richiesta della pulsione e perciò avvia un ciclo di ripetizioni. Il godimento ha un funzionamento simmetrico rispetto al desiderio e infatti si pone dal lato dell’oggetto, mentre il desiderio «ha la proprietà di essere fissato, adattato, raccordato non già ad un oggetto ma sempre essenzialmente a un fantasma»6.

Con le tecnologie digitali si assiste a un radicale cambiamento, che comporta la rottura della lente fantasmatica che modula il rapporto dei soggetti con il reale; la traversata del fantasma è un’ipotesi puramente teorica, che sembra però avverarsi nella temporalità in cui siamo immersi. La contemporaneità informatica comporta una modifica fondamentale nella costituzione della soggettivazione, perché è lo scenario della deflazione del desiderio, cioè l’imporsi di una meccanica del godimento a scapito della domanda del desiderio. Perché ciò avvenga è necessario infrangere la lente costituita dal fantasma, «il fantasma è suscettibile di essere attraversato, ma l’essere del godimento rimane ribelle al sapere […] la cosa più ardua e difficile è il rapporto del godimento con il senso, cosa che non si presta ad alcun attraversamento»7, in altre parole, il godimento è svincolato da qualsiasi razionalità, ma si sostiene nella circolarità di bisogno e appagamento, ovvero è «un automatismo di ripetizione nel quale è presa la pulsione»8.

Una mutazione che scatena gli istinti nel loro moto circolare, un meccanismo che si regge sulla ripetizione e sulla reiterazione, cioè sulla necessità di dover postare sempre nuovi video e sempre nuove immagini. Questa dinamica reiterativa è il sintomo di una radicale trasformazione, che si pone accanto ai processi di soggettivazione fin ora conosciuti. Infatti, è un cambiamento che sembra intaccare la tradizionale funzione simbolica, che «costituisce un universo all’interno del quale si deve ordinare tutto ciò che è umano»9, uno schema condiviso dalle soggettività che è possibile definire anche come inconscio collettivo.

Al fondo della società dei dati c’è invece un diverso presupposto, cioè la convinzione che una massa informe, ma sovrabbondante, di informazioni possa essere il criterio interpretativo della realtà. È il paradosso delle società informatiche, che non utilizzano più la categoria della causalità per organizzare la realtà, ma si basano sulle relazioni, o meglio le correlazioni, che esistono tra gli eventi come criterio di scientificità e di validità delle proprie affermazioni, «la società dovrà abbandonare almeno in parte la sua ossessione per la causalità in cambio di correlazioni semplici: non dovrà più chiedersi perché, ma solo cosa10

Il criterio fondativo della scienza degli algoritmi è la cosa, das Ding, cioè l’oggetto proprio della pulsione, che scatena la caoticità delle pulsioni, sebbene sia la loro interdizione il primo passo per la costruzione di una collettività di soggetti, che si sorregge sulla dinamica del desiderio, «la condizione del desiderio è […] la sbarratura della Cosa, il suo trattamento significante. C’è desiderio solo dove c’è svuotamento significante della Cosa, perché è il significante che opera un buco nel reale e, dunque, costituisce il vuoto della Cosa come condizione per l’essere del desiderio.»11

L’ordine del discorso rappresenta lo strumento che innesca il desiderio contro il dilagare del disordine e delle pulsioni. Il linguaggio è un’organizzazione simbolica che permette al desiderio di esistere, mentre se l’appagamento si sgancia dalla struttura linguistica naturale e si innesta su una funzione algoritmica, è possibile che avvenga uno stravolgimento, perché compito del discorso è dare ordine, «il significante è ciò che dà l’alt al godimento […] Ecco l’altro polo del significante, il colpo d’arresto, posto all’origine così come può esserlo il vocativo del comandamento.»12

La pervasività dei big data è la caratteristica della socialità tecnologica del nuovo millennio, un cumulo informe ma eccessivo, che diviene strumento ma obbligandoci «a cambiare, a sentirci più a nostro agio con il disordine e con l’incertezza. […] Dando luogo a una trasformazione radicale, questi cambiamenti di mentalità portano a un terzo cambiamento che potrebbe capovolgere una convenzione ancora più fondamentale su cui si basa la società: la pretesa di capire le ragioni che stanno dietro tutto ciò che accade»13.

In questa ipotesi è racchiusa la definizione della società algoritmica, che insegue un soddisfacimento incessante, che è però una gratificazione senza regola, proprio perché il godimento avviene al di fuori del significante, cioè la struttura che assicurava un corretto svolgimento della meccanica del desiderio, che teneva a bada l’irruzione del reale. Il soggetto del desiderio fin qui conosciuto aveva chiaro che esiste un legame fondamentale tra legge e appagamento, un nodo stretto che tiene insieme la legge e la funzione desiderante, cosicché anche «la trasgressione si compie solo facendo leva […] sulle forme della legge»14.

L’attualità presenta invece i soggetti completamente inglobati all’interno di un circolo di ripetizioni, in cui le richieste non si sommano, ma si ripetono, e le cui esperienze non insegnano nulla. Un modello reiterativo che somiglia molto a una dipendenza, anziché a uno svolgimento lineare che era assicurato dal desiderio.

Con la scomparsa del desiderio è inevitabile che il godimento venga in primo piano, ma ciò che emerge da tale variazione è lo schema fondamentale su cui si regge la società capitalistica. Un sistema che non solo è in grado di manipolare il desiderio di desiderare, ma che poggia totalmente sui moti pulsionali, «la pulsione è immanente al capitalismo a un livello più fondamentale, sistemico: la pulsione spinge avanti l’intero meccanismo capitalistico, è la costrizione impersonale a impegnarsi nel movimento circolare e infinito dell’autoriproduzione espansiva»15.

Con l’imporsi del giogo algoritmico, i processi di soggettivazione sono completamente stravolti e le nuove forme di singolarità che emergono somigliano sempre più a dei consumatori che a dei soggetti, svuotati come sono del desiderio, perché a imporsi è il discorso del capitalista che ha ben chiaro che «our job is to figure out what they’re going to want before they do»16.


1 Žižek S., L’oggetto sublime dell’ideologia, Salani Editore, Milano, 2014, p. 137.
2 Žižek S., Lacan, ovvero l’ontologia del godimento, in “aut-aut”, 315, 2003, p. 34.
3 Žižek S., L’oggetto sublime dell’ideologia, op. cit., p.207.
4 Miller J. A., Di Ciaccia A., L’Uno-tutto-solo, L’orientamento lacaniano, Astrolabio, Roma, 2018, pag. 53.
5 Lacan J., Il seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio, Einaudi, Torino, 2004, p. 393.
6 Lacan J., Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione. 1958 – 1959, Einaudi, Torino, 2016, p. 23.
7 Miller J. A., Di Ciaccia A., L’Uno-tutto-solo, L’orientamento lacaniano, op. cit., pag. 38.
8 ibidem, p. 53.
9 Lacan J., Il seminario. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi. 1954 – 1955, Einaudi, Torino,1991, p. 38.
10 Mayer Schönberger v., Cukier Kenneth N., Big Data, Garzanti, Milano, 2013, p. 16.
11 Recalcati M., Il fondo oscuro del desiderio. Notre su Sartre e Lacan, in “aut – aut”, 315, 2003, p. 118.
12 Lacan J., Il seminario. Libro XX. Ancora. 1972 – 1973, Einaudi, Torino, 2011, p. 24.
13 Mayer Schönberger v., Cukier Kenneth N., Big Data, op. cit, p. 72.
14 Lacan J., Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi. 1959 – 1960, Einaudi, Torino, 2008, p. 208.
15 Žižek S., Meno di niente. Hegel e l’ombra del materialismo dialettico, Adriano Salani Editore, Milano, 2013, p. 607.
16 Isaacson W., Steve Jobs, Simon and Schuster, 2011, New York, p. 328.

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