La macchina della prosperità

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Pubblichiamo l’introduzione di Gianfranco Borrelli alla monografia di Pietro Sebastianelli, dal titolo La macchina della prosperità. Saperi economici e pratiche di governo in François Quesnay, Napoli, Bibliopolis, 2019.

Da alcuni anni Pietro Sebastianelli è impegnato a far crescere un progetto di ricerca sulla composizione dei linguaggi e dei saperi della politica e dell’economia nell’epoca che dalla crisi degli aristotelismi di fine Cinquecento apre al campo della nuova scienza della società civile. Nel volume precedente, Homines œconomici. Per una storia delle arti di governo in età moderna (Roma, 2017), secondo un articolato disegno storiografico, questo percorso di ricerca prendeva in considerazione autori di diversi contesti europei: gli scritti di Giovanni Botero che innervano le politiche delle ragioni degli Stati sulle dinamiche degli interessi, il contributo di James Stewart che intreccia in modo stretto politica e economia, i trattati di police che compaiono dalla fine del Seicento in terra francese. Quest’ultima traiettoria, particolarmente interessante, comprendeva l’analisi dei testi di Nicolas Delamare, gli scritti sulla police des grains di Boisguilbert fino ai discorsi sulla libera concorrenza di Claude-Jacques Herbert; la chiusura di quel volume focalizzava in modo sintetico le novità della teoria fisiocratica rivolte in modo profondamente riflessivo a descrivere un campo inedito di verità, una modalità del tutto originale di descrivere e sostenere la convergenza dell’intensa produttività economica con i comportamenti individuali motivati da interessi e desideri: in breve, la composizione sistematica della moderna economia di mercato vissuta come libera concorrenza tra soggetti fortemente motivati.

Questo intreccio di problemi viene ripreso ed ulteriormente approfondito nel presente volume. Prendendo avvio da un sintetico inquadramento del pensiero politico di Quesnay, si passa alla descrizione dei tentativi diversi d’intendere il problema delle pratiche di governo che vengono via via produttivamente intrecciandosi in terra di Francia con gli sforzi della teoria economica e politica. Nel primo capitolo del libro, vengono allora presi in esame i contenuti di generi diversi di regimi di verità attraverso cui esponenti importanti della cultura civile francese cercano di descrivere le linee d’incremento della nuova scienza della politica: gli sforzi di Boulainvilliers di assegnare questa funzione decisiva alle capacità della storia come interprete delle trasformazioni della società e dei ceti sociali, l’intento di Montesquieu di attribuire il metodo fondante della nuova scienza politica ad una particolare riformulazione della legge che viene regolando le decisioni dei governi, il tentativo di Gournay di spiegare il meccanismo produttivo della società moderna attraverso le dinamiche degli scambi, delle forme nuove del commercio. Rispetto a questi contributi l’intervento di radicale differenza introdotto da Quesnay riguarda innanzitutto il modello specifico di una diversa razionalizzazione dei processi economici e sociali che rifiuta ogni elemento di astratto giusnaturalismo, per affermare invece in modo radicalmente alternativo proprio l’ordine naturale come la base, il riferimento principale dei processi produttivi della ricchezza sociale. A questo proposito, fin dai primi scritti apparsi come voci dell’Encyclopédie, viene affermata la centralità dell’agricoltura: il modello dell’azienda agricola proprietaria – con la liberalizzazione del commercio dei grani – comporta la sicurezza di rendere proficui gli investimenti nella coltura dei terreni con la prospettiva di ingenti guadagni; alla sua base, la figura dei ricchi fermiers si può considerare la soggettivazione specifica che con la strumentazione scientifica dei saperi economici può contribuire in modo sistematico a rendersi il vero fondamento della ricchezza dello Stato.

Nel secondo capitolo, vengono quindi approfonditi questi primi elementi del discorso economico come costitutivi delle linee fondamentali di una nuova arte di governo saldamente ancorata alle nozioni di ordre naturel e di évidence: a questo livello la science économique incontra il terreno dell’indagine specificamente antropologica delle condotte individuali orientate appunto dal calcolo economico. Oltrepassando con piena consapevolezza i limiti dell’agrarismo conservatore di matrice aristocratica, Quesnay pone al centro dell’indagine il ruolo fondamentale della condotta economica degli individui, rappresentata appunto innanzitutto nella figura del fermier. Di qui, un’intuizione notevolissima, che rimarrà fissata nel cuore dell’arte di governo del nascente liberalismo: dapprima, la considerazione che l’interventismo dei governi deve sempre e comunque fare i conti con i comportamenti dell’agire pratico-economico degli individui in funzione del libero mercato e della più aspra concorrenza. Quindi, la considerazione complementare secondo cui conviene organizzare le strategie della produzione in modo che i soggetti implicati restino impegnati in permanenza nello sforzo di rendere gli individui imprenditori di se stessi e soggetti di un’attiva autopromozione, in modo da realizzare stabili vincoli di obbedienza e di autodisciplinamento.

Sulla base dei presupposti della nuova scienza economica, nel terzo e ultimo capitolo, Sebastianelli affronta il tema decisivo del pensiero politico di Quesnay, focalizzando l’attenzione sulla nozione di despotisme. Il naturalismo fisiocratico consente d’impiantare uno stile di governo in cui esso si presenta come intervento naturale, non calato dall’alto: questo viene pure a significare che la stabilità argomentata dai cosiddetti discorsi di sovranità viene in effetti resa possibile grazie al funzionamento efficace dell’ordine economico naturale, all’interno del quale non cessa mai la serie degli interventi finalizzati alla crescita economica. In definitiva, le leggi fondamentali dell’economia, introdotte dalla nuova scienza fisiocratica, sono costitutive di una machine de la prosperité che (annota Sebastianelli) non produce in base ad un ordine normativo gerarchico che rimanderebbe ad una legalità di tipo costituzionale, piuttosto essa accumula incessantemente ricchezza grazie ad un riscontro e ad una verifica continua che, attraverso il parametro del calcolo dei profitti, appaiono come misura oggettiva e neutrale della efficace produttività degli individui e dell’organizzazione sociale della produzione. Si può allora agevolmente mostrare come il despotisme di Quesnay rappresenti in realtà un’arte di governo che opera non come un catalizzatore oppressivo di potere politico, piuttosto come un dispositivo che funziona in quanto condotta di condotte che viene orientandosi appunto come una politica della verità: questo genere di governo vincola allo stesso tempo le condotte degli individui secondo una complessa strategia di dominio dei soggetti che viene esercitandosi sugli altri attraverso incessanti pratiche del sé, tecnologie di autodisciplina da parte dei governanti e dei governati.

Con le argomentazioni della scienza fisiocratica, l’economia comincia ad affermare il proprio primato come un ordine trascendentale che tende a condizionare ogni aspetto della vita, del vivere comune e dei governi. Grazie a questa spontanea ed inarrestabile capacità produttiva dei nuovi soggetti economici – conclude Pietro Sebastianelli – popolazioni e ricchezze sono poste in rapporto di proporzionalità diretta, devono necessariamente crescere simultaneamente e disporranno l’organizzazione della società in modo da moltiplicare questa modalità di governo di sé all’intero complesso della vita civile. Ciascun individuo viene quindi posto nella condizione di governare se stesso sulla base di un calcolo delle utilità; governare gli uomini implica dunque la conoscenza delle condizioni che rendono possibile il dispiegamento di questa condotta ottimale da parte del soggetto su se stesso: singoli individui o composizioni collettive d’individui agiscono ora come homines oeconomici motivati da interessi che assumono pure caratteristiche determinate nei differenti contesti storici e culturali.

Bisogna infine ringraziare e rinforzare per il prosieguo del suo lavoro di ricerca Pietro Sebastianelli nell’organizzazione che sta offrendo al suo progetto dedicato all’indagine approfondita che assume a suo particolare oggetto i processi della costituzione di soggettivazioni produttive nella Francia settecentesca. Con la nuova scienza della fisiocrazia viene preannunciato che nelle società occidentali, d’ora in poi, i meccanismi delle decisioni politiche dovranno comunque e in permanenza fare i conti con le forme diverse delle soggettivazioni che si organizzano secondo ragioni economiche, ponderate su piani culturali differenti, che vivono del funzionamento di pratiche determinate del governo di sé e degli altri. In fondo dall’autore di questo libro proviene anche un preciso suggerimento: bisognerebbe indagare in questo modo per gli altri contesti nazionali europei per rendere finalmente palesi le differenze dei dispositivi di governo (Foucault direbbe delle forme diverse di gouvernementalité) che assumono modi e percorsi diversi finora considerati come resi omologhi da un destino trascendente di sovranità.     

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