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Una lettera inedita di Bobbio su ragion di Stato e conservazione politica

Stato è un dominio fermo sopra i Popoli e Ragione di Stato è notizia di mezi atti a fondare, conservare, e ampliare un Dominio così fatto. Egli è vero, che se bene, assolutatemente parlando, ella si stende alle tre parti sudette, nondimeno pare, che più strettamente abbracci la conservatione, che l’altre; e dell’altre più l’ampliatione, che la fondatione: imperò che la Ragione di Stato suppone il Prencipe e lo Stato, (quello quasi come artefice, questo come materia) che non suppone, anzi la fondatione affatto, l’ampliatione in parte precede. Ma l’arte del fondare, e dall’ampliare è l’istessa; perché i principi, ed i mezi sono della medesima natura. E se bene tutto ciò, che si fa per le sudette cagioni, si dice farsi per Ragione di Stato, nondimeno ciò si dice più di quelle cose, che non si possono ridurre a ragione ordinaria, e commune

Questa è la definizione che Giovanni Botero offre della ragion di Stato nell’edizione del 1596 del suo trattato. Nella prima edizione veneziana del 1589 il capitolo recita più succintamente Stato è un dominio fermo sopra popoli; e Ragione di Stato è notizia di mezi atti a fondare, conservare, e ampliare un Dominio così fatto. Egli è vero, che se bene, assolutamente parlando, ella si stende alle tre parti sudette, nondimeno pare, che più strettamente abbracci la conservazione, che l’altre; e dell’altre più l’ampliazione, che la fondazione.

Se abbiamo riportato per esteso la definizione che il Benese offre nella seconda, e non nella prima, edizione del testo è per porre l’attenzione sull’insieme delle questioni che appaiono in maniera dirompente dalle note di apertura al testo. Botero offre infatti una definizione di Stato centrata sul “fermo dominio” su di un popolo. La ragione di Stato è invece quell’insieme di conoscenze necessarie non solo a fondare e ampliare, ma anche a conservare un tale dominio. Nella definizione boteriana risalta la distinzione, che non si trova esplicitata nell’edizione del 1589, tra una ragion di stato intesa come una ragione “straordinaria” di governo, e quella “ragione ordinaria e commune” che costituisce la parte più rilevante, se non addirittura il proprio, della ragion di stato. A questa distinzione se ne affianca anche una seconda, che separa le ragioni dell’istituzione e dell’ampliamento di un dominio da quelle della sua conservazione. Anche in questo caso, nella formulazione boteriana, è il mantenimento del dominio a costituire il nucleo essenziale della ragion di Stato.

Ognuno di questi termini – conservatione, dominio, Stato – necessita di essere interpretato, non solo in chiave teorica ma anche storico-filogica. Ed in effetti, la storiografia più recente sulla letteratura della ragion di stato si è proprio interrogata sul senso quel “conservare” e mantenere politico che sembra essere l’essenza della ragione dello stato e sua ragione ordinaria. Proprio la rivalutazione di questa natura non eccezionale, il suo costituire un sapere finalizzato al governo (dominio) “commune” di un popolo, è al centro della ripresa di studi sulla ragion di Stato che ha caratterizzato le ricerche dei primi anni Novanta[1] [1].

Un momento significativo di questa stagione di studi e ricerche è stata l’organizzazione nel 1994 di una importante mostra presso l’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli, con la collaborazione dell’allora Archivio della Ragion di Stato e della Biblioteca Nazionale di Napoli. La mostra che si tenne dal 4 al 30 luglio ebbe come esito la pubblicazione di un importante catalogo, curato da Gianfranco Borrelli[2] [2]. Il curatore avrebbe voluto che Norberto Bobbio scrivesse una breve prefazione al catalogo della mostra. Lo studioso non poté, però, accettare la proposta e in una sua breve lettera di risposta e ringraziamento espresse alcune riserve sull’idea che la ragion di stato avesse un proprio fine e che fosse essenzialmente connesso alla “conservazione” di un ordine politico. Il testo della lettera recita:

Torino, 31. 5 – 94

Caro prof. Borrelli,

troppi sono gli impegni che mi devo assumere, troppi anche per le mie degradanti forze fisiche e intellettuali. La ringrazio di aver pensato a me per la prefazione al catalogo ma non sono in condizione di accettare. Del resto, che cosa si può aggiungere alla sua ampia introduzione?

Ho qualche dubbio sul nesso che lei istituisce tra “ragion di stato” e lo scopo della “conservazione”. La ragion di stato ha a che fare coi mezzi, quale che sia il fine. Del resto, già nelle tesi di Botero, il fine di chi detiene il sommo potere non è solo quello della conservazione. Quanta parte ha avuto la ragion di stato, nel suo significato neutrale e in quello negativo (perché i due significati debbono essere distinti) nella conquista del Nuovo Mondo, e nella colonizzazione da parte dei popoli europei dei popoli extraeuropei?

Pongo una domanda, che mi ero già posto quando lessi il suo libro del cui invio, se pure tardivamente, la ringrazio. Non intendo fare un’obiezione. Almeno per ora. Occorrono ulteriori riflessioni, che rimandano ad altre occasioni, che non mancheranno.

Con i più cordiali saluti

Norberto Bobbio

P.S. Intesa per [ra di st] … parola neutrale la descrizione e raccomandazione di mezzi procedurali per conservare, ampliare … il dominio; in senso negativo la descrizione e raccomandazione di mezzi [consapevolmente?] illeciti per conseguire gli stessi fini. Ma anche su questo, abbiamo tempo per parlare

In questa breve lettera, Bobbio coglie la novità interpretativa della tesi secondo cui la ragion di Stato è essenzialmente “conservazione politica”, ma rappresenta una sua perplessità di fondo. Il curatore, infatti, nella sua introduzione scriveva che “il governo per ‘ragion di Stato’ propone la conversione dell’uso diretto della violenza in codici di dispositivi particolari che debbono essere finalizzati alla conservazione del potere politico ed alla produzione di disciplina e di obbedienza da parte dei sudditi”[3] [3].

La perplessità di Norberto Bobbio muove invece dalla convinzione che la ragion di stato costituisca una riflessione intorno ai “mezzi” dell’operato politico, e non già intorno ai fini. Che essa esprima, quindi, essenzialmente una razionalità strumentale e dipendente dagli obiettivi del governante. Non vi sarebbe, quindi, un fine conservativo nella ragion di stato, ma una riflessione intorno ai mezzi più opportuni per raggiungere i fini stabiliti dall’autorità politica.

Nel brevissimo scambio tra Gianfranco Borrelli e Norberto Bobbio troviamo indicate alcune delle più rilevanti questioni storiografiche e teoriche sulla ragion di Stato. In primo luogo, la relazione tra la letturatura italiana sulla ragion di Stato, di cui il testo boteriano costituisce il modello fondativo, le “ragioni di stato ” che di qui prendono avvio. In secondo luogo, il “problema della ragion di Stato”, che non è esclusivamente riducibile né alla tradizione storica italiana, e neppure a quello della sua influenza storica. Vi sono infatti percorsi e problemi storici e teorici molteplici, che possiamo legittimamente ricondurre a quello della ragion di Stato, che pure devono essere ricostruiti. In terzo luogo, è importante l’intreccio su cui pone la sua attenzione Bobbio tra una razionalità strumentale della ragion di Stato e una razionalità diversa e eventualmente sovraordinata, orientata invece ai fini. In ultimo, il problema della differenza tra “governo ordinario” e “governo straordinario” di qualcosa che chiamiamo “fermo dominio sopra i popoli”, ossia “Stato”.

Tutti questi problemi, nella loro espressione teorica ma anche – e soprattutto – nella concretezza politica e istituzionale, restano attuali, e segnano tuttora valori, principi e scelte delle istituzioni politiche democratiche.

La lettera:





[1] [4] Si veda il contributo di G. Borrelli, Gli studi di Ragion di Stato negli ultimi due decenni del ventesimo secolo: motivazioni e considerazioni critiche, “Politics. Rivista Italiana di Studi Politici”, (4), 2/2015, 1-13, accessibile su https://rivistapolitics.files.wordpress.com/2016/01/01_borrelli_politics41.pdf [5]

[2] [6] Ragion di Stato. L’arte italiana della prudenza politica, a cura di G. Borrelli, catalogo della Mostra bibliografica, Napoli, Palazzo Serra di Cassano, 4-30 luglio 1994, nella sede dell’Istituto. Una versione on-line del catalogo è visitabile su http://www.filosofia.unina.it/ars/primacat.html [7].

[3] [8] Ivi, p.3